Dall’icona di Ayrton nel ’91 ai messaggi oscurati di oggi: Dean Locke, capo regia della Formula 1, racconta come sceglie in pochi secondi cosa farci ascoltare (e cosa no)
Jacopo Moretti
4 novembre - 14:04 - MILANO
“Eu venci, ho vinto”. GP del Brasile 1991, Ayrton Senna urla via radio, sfinito dalla morsa delle cinture di sicurezza mal regolate. Rede Globo, la televisione locale, manda in onda le grida del pilota, rendendole icona della sofferenza di “Magic” Ayrton. Da quel momento, la Formula Uno sceglie di trasmettere le voci dei piloti, rendendole parte del racconto della gara a cui oggi siamo abituati. Ma come vengono scelti i team radio? E cosa succede se un pilota si lascia andare con qualche parola di troppo, magari all’indirizzo della direzione gara?
“SENTIAMO TUTTO”
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“Se una vettura è in pista, noi abbiamo accesso a qualsiasi comunicazione”, spiega a Race Fans il responsabile della regia internazionale, Dean Locke. “È un vantaggio enorme per la televisione. Significa avere voci ed emozioni di piloti che sfrecciano a 300 km/h. A volte mi capita di seguire il golf e dopo cinque ore non sapere nemmeno se l’atleta è soddisfatto…”. Ma “dietro a tutto questo c’è una grande responsabilità. Noi vogliamo proteggere i nostri piloti e se dicono qualcosa di cui potrebbero pentirsi preferiamo censurarlo”. Un esempio? Il team radio di Fernando Alonso in Messico. “Penso proprio che la direzione gara non capisca niente delle corse!”, urla furente lo spagnolo. La regia ascolta, riflette (“non più di una decina di secondi però”), e censura.
TEAM RADIO NASCOSTI
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E pensare che un tempo le scuderie utilizzavano canali privati per parlare con i piloti. “Le comunicazioni criptate? Quei giorni sono finiti, ora sentiamo tutto”, racconta Locke. Riavvolgendo il nastro, la prima a nascondere le informazioni tra box e abitacolo ai rivali fu la Ferrari, su idea del Direttore Sportivo di allora, Cesare Fiorio. A convincere il torinese, oltre all’esperienza nel rally, dove le comunicazioni via radio erano in uso da tempo, fu un curioso episodio in cui qualche incauto si era vantato delle sue conquiste dimenticando che i microfoni erano a disposizioni di tutti. Fu poi sempre la rossa, sotto la guida di Jean Todt, ad accordarsi con la Pioneer per avviare le trasmissioni radio via satellite: comunicazioni dei piloti e dati di telemetria, tutte sullo stesso canale.
RADIO SPIA
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E la storia dei team radio non poteva che incrociarsi anche le sfide in pista, al punto da coinvolgere una vera e propria attività di spionaggio. “Il mio lavoro? Ero una spia radiofonica per la Ferrari”, racconta Evan Short, oggi responsabile degli elettronici in Mercedes. “Le squadre usavano canali criptati e il mio compito era quello di intercettare quelle della McLaren, i nostri principali rivali. Il loro sponsor era una società di crittografia che utilizzava una combinazione limitata di frequenze. Una volta trovata quella giusta, sentivo tutto”. Ma in quegli anni accaddero anche episodi divertenti. Come quando le frequenze comuni utilizzate da alcune scuderie rendevano le comunicazioni “vulnerabili” durante le gare in Sud America, al punto che i piloti si ritrovavano a sentire in cuffia i messaggi dei taxisti o delle stazioni di polizia locali.
LE SCELTE
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Passato a parte, “Oggi abbiamo accesso a tutte le comunicazioni delle scuderie, sta a noi decidere cosa trasmettere”, spiega Locke. “Abbiamo una decina di secondi, non di più, perché nel frattempo le immagini potrebbero già essere in diretta. Si tratta di prendere una decisione editoriale in pochissimo tempo”. Già, perché scegliere mandare in onda le sfuriate di Verstappen o le lamentele di Russell passa anche da come la Formula Uno vuole raccontare una corsa. “Ci è capitato di avere piloti che discutevano tra loro parlando con il team via radio. In quel caso, se non avessimo mandato in onda le loro voci, nessuno avrebbe davvero potuto capire cosa stava succedendo”.
PAROLACCE E RITARDI
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E se un pilota si lascia andare con qualche parola di troppo? “Ricordo una gara in cui mi arrivò in cuffia un team radio. Conteneva più parolacce che altro. Scelsi di non trasmetterlo, il pubblico avrebbe sentito qualcosa di sensazionalistico senza avere idea di cosa volesse dire il pilota”. A volte, invece i team radio vanno in onda in ritardo o addirittura mancano. “Ci criticano spesso per questo – rivela Locke – capita che persino le squadre ci chiamino per sapere come mai abbiamo montato in un certo modo i loro team radio. La verità è che succede tutto così in fretta. Le scuderie richiamano ai box i loro piloti pochi secondi prima dell’ingresso della pit lane e noi trasmettiamo il messaggio poco dopo. La gente a casa pensa che siamo arrivati in ritardo, ma vi assicuro che non è così!”.








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