"Con Capello alla Juve? Perché no...". E Roma si infuriò: così Chivu andò dallo psicologo

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Nel 2005 l'attuale allenatore nerazzurro giocava con la Roma e si espresse a favore di Don Fabio, a quei tempi in bianconero. Gli ultrà giallorossi non glielo perdonarono

Francesco Pietrella

Giornalista

9 settembre - 15:21 - MILANO

Prima regola delle elezioni: mai sbandierare il proprio voto. A Cristian Chivu è costato dozzine di sedute da uno psicologo di fiducia. C’è stato un tempo in cui il romeno giocava nella Roma, guidava la difesa, sfoggiava il suo mancino con lanci millimetrici e rendeva fiero il suo primo allenatore “italiano”, Fabio Capello. I due erano così legati che un endorsment a favore di “Don Fabio”, volato alla Juve nell’estate 2004, portò i tifosi della Roma a dargli del traditore e a fischiarlo a ogni tocco di palla. “In un’intervista dissi che mi sarebbe piaciuto lavorare nuovamente con Capello. Il giorno seguente i media scrissero subito ‘Chivu alla Juventus'. Ma non era vero. E l’ho pagato”. Cristian l’ha raccontato in un’intervista a Cronache di Spogliatoio di qualche tempo fa, prima di prendere le redini del Parma e poi dell’Inter, la squadra con cui sabato cercherà di espugnare l’Allianz.

COS'ERA SUCCESSO

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La storia è di vent’anni fa. Novembre 2005, post partita di Roma-Strasburgo 1-1, seconda giornata della fase a gironi di Coppa Uefa. Chivu va a parlare a Sky e tende la mano a Capello, già alla Juve da più di un anno: “Mi ha portato a Roma e lo ringrazierò sempre. Sarebbe un piacere tornare a lavorare con lui. Io sto qui, ho altri due anni e mezzo di contratto. Però nel calcio non si sa mai, mica decidiamo noi giocatori”. Lesa maestà al popolo giallorosso. Un paio di settimane dopo, al rientro da titolare dopo aver saltato la sfida con la Fiorentina, l’Olimpico lo fischiò dal primo all’ultimo minuto. La Roma incassò due gol dal Palermo e perse in casa. Toni bruciò lui e Mexes in occasione del gol. La Gazzetta gli diede 5: “Molle. Non indovina un lancio”. Questo il giudizio.

ansia e stress

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Chivu finì in un buco nero. Aveva 25 anni e si ritrovò lo stadio contro per via di una dichiarazione. Una frase a favore del suo vecchio mister detta senza malizia. “Io ne soffrivo. In quel periodo andavo dallo psicologo. A fine partita vomitavo per lo stress e per l’ansia, non riuscivo a uscirne e ho chiesto aiuto”. I fischi finirono dopo un derby vinto: i due schiaffi alla Lazio del 26 febbraio 2006. Il giorno in cui Spalletti centrò l’undicesima vittoria di fila in Serie A scrivendo la parola “Roma” nella storia del campionato. Almeno per l'epoca (l’Inter arriverà a 17 nel 2006-07). Per Chivu un bel 6,5 in pagella: “In crisi in avvio, cresce col passare dei minuti. E un paio di recuperi risultano decisivi”. Chivu lasciò la Roma nel 2007 per andare all’Inter. Un altro momento complicato. Il 20 luglio, giorno della presentazione della squadra al Flaminio, gli ultrà giallorossi gli diedero dello “zingaro” e intonarono cori tutt’altro che amichevoli: “Chivu vattene”, “Chivu pezzo di m…”, “bastardo” e così via. La cronaca dell’epoca si soffermò sulla sua reazione: Cristian entrò in campo a testa alta e si allenò come se nulla fosse, per nulla scalfito o intimorito dalla contestazione. Merito di uno psicologo che anni prima gli diede una mano.

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