Mudryak, regina dell'opera col cuore a metà: "L'Inter come Turandot, ma il Kairat osa l'impossibile"

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Kazaka di nascita e milanese di adozione, è tra le cantanti liriche apprezzate al mondo e stasera si gode la sfida tra le sue due squadre: "Il freddo di San Siro per la voce può essere un problema, ma questa non me la perdo. Da noi gli sport nazionali sono altri, ma il Kairat è un orgoglio. E attenzione a Satpaev, bambino prodigio come me"

Filippo Conticello

Giornalista

5 novembre - 12:46 - MILANO

A San Siro con due sciarpe al collo, una per ogni club, per proteggere dal freddo la sua voce preziosa, dono del cielo, e avvicinare in Champions entrambi i suoi mondi. Maria Mudryak, soprano tra le più apprezzate al mondo, kazaka di nascita e milanese d’adozione, è ambasciatrice culturale tra Italia e Kazakistan: per nessuno più che per lei, Inter-Kairat è una sfida speciale, lo scontro tra squadre sempre tifate ed amate. Insomma, in Coppa si svelano i due pezzi dell’identità della kazaka più importante nel nostro Paese: la Mudryak è, sì, entrata alla Scala a nove anni per inseguire un sogno precocissimo, ma la città di Almaty la riporta di colpo alle radici e ai colori di casa. A 31 anni ha già collaborato con giganti come il maestro Riccardo Muti e Placido Domingo e interpretato ruoli iconici come Violetta nella Traviata, Mimì nella Bohème, Liù nella Turandot e Marguerite nel Faust, esibendosi su alcuni dei palcoscenici più prestigiosi del pianeta. “Ma giocare a San Siro non deve essere da meno…”, ammette adesso con bel po’ di emozione. 

Mudryak, ma per chi batte il suo cuore?

"Sono nata in Kazakistan e lì sono cresciuta fino a 9 anni. Professionalmente, però, l’Italia è la mia patria: sono divisa perfettamente a metà, sono stata nominata ambasciatrice culturale dei due Paesi. Come dico sempre, il mio cuore batte due volte, sia quando atterro in Kazakistan sia quando ritorno in Italia". 

Dal suo punto di osservazione cosa rappresenta Inter-Kairat? 

"Un orgoglio enorme. Una partita dell’anima, molto più che calcio, perché vedo un ponte tra due popoli così lontani solo in apparenza. Il dialogo tra i nostri Paesi è sempre più solido e bello, non solo grazie alla politica ma anche con lo sport e la cultura. Sono nata a Pavlodar, a nord, ma in Kazakistan tifo proprio il Kairat, la squadra di Almaty che ha una grandissima tradizione e ne ha passate tante nella sua storia. A Milano, invece, sono diventata presto interista, anche perché sin da piccola tutti i miei vicini di casa lo erano". 

Ha sentito una aspettativa particolare in patria per questa sfida? 

"Continuo a ricevere messaggi di gente in arrivo a Milano e, come sapete, il Kazakistan non è vicinissimo... È un evento vero e proprio, in generale giocare questa Champions è un segno di appartenenza e di riconoscimento per tutti. Alla fine, ci saranno 1.600 tifosi kazaki, tantissimi". 

Pure lei? 

“Di solito, visto il mio lavoro, sto attenta a non espormi troppo al freddo perché la nostra voce è come il fisico degli atleti, ma questa non me la perdo per nulla al mondo...".

A proposito di fisico, non è facile giocare dopo una trasvolata di otto ore e con un jet-lag di quattro. 

“I giocatori si stanno abituando a trasferte così grandi in questa Coppa, ma il risultato non dipenderà da quello. In fondo, anche per noi cantanti è normale: facciamo tante ore di volo prima di andare in scena, siamo anche noi degli sportivi". 

Una prima a San Siro è come una prima alla Scala?

"Parliamo di teatri eterni, di magia conosciuta in tutto il mondo. Personalmente, ho debuttato sul palco della Scala con il coro di Voci Bianche a 10 anni: un’emozione incredibile che non ti lascia più. Posso capire cosa proveranno i ragazzi del Kairat contro la grande Inter…".

In generale, dove nasce la sua passione per il calcio? 

"In Kazakistan giocavo e mi divertivo, poi in Italia ho visto una vera e propria religione: ricordo una mia Traviata a Firenze in cui l’intervallo tra primo e secondo atto fu prolungato perché il pubblico stava seguendo una partita e tutti volevano conoscere il risultato! Da noi, però, gli sport nazionali sono altri, a partire dagli scacchi. Alcuni grandi campioni, come il pugile Gennady Golovkin e il pesista Ilya Ilin sono cari amici: ci vediamo sempre quando torno in Kazakistan. E non scordiamoci del ciclista Alexander Vinokurov, un campione, e della XDS Astana, la squadra che dirige". 

Se dovesse raccontare il suo Paese a chi non c’è mai stato, cosa direbbe? 

"Il Kazakistan è un Paese moderno ma legatissimo alle tradizioni: da noi vedi spiritualità e innovazione che non si scontrano mai. È una via di mezzo tra Europa e Asia. La natura è meravigliosa e sterminata, tra laghi, montagne, canyon e steppe: siamo il nono stato al mondo per estensione". 

E cosa ha in comune con l’Italia? 

"Kazakistan e Italia condividono ospitalità e calore umano, ricerca della bellezza e anche centralità della famiglia, il luogo in cui si sta insieme e si cucina. Il piatto nazionale kazako si chiama beshbarmak, una sorta di lasagna con carne di cavallo. La consiglio, anche se almeno a tavola mi sento assolutamente italiana…". 

Chi saranno per lei i protagonisti in campo? 

"Lautaro è una superstar, tra gli amici interisti è da tutti il più amato. Ma anche il Kairat ha una stellina: Dastan Satpaev ha solo 17 anni, è impressionante, viene dipinto come un bambino prodigio. Lo seguo con interesse anche perché, in parte, lo ero anche io: ho iniziato a tre anni tra concorsi e concerti, a 14 sono entrata al Conservatorio di Milano, un’eccezione nella storia dell’istituto. Con mia mamma ci trasferimmo quando sono riuscita ad entrare nelle Voci Bianche, mentre papà rimase in Kazakistan".

Quella di stasera sembra una sfida impossibile per i kazaki, vede una trama da opera lirica? 

"L’Inter è la principessa Turandot: invincibile, abituata a vincere senza sforzo. Invece, il Kairat è come Calaf, il giovane eroe che osa l’impossibile, che prova rispondere agli enigmi del destino e ha il coraggio di amare il pericolo. Mi piacerebbe finisse in pareggio e tutti contenti, ma so che è dura. Posso solo dire a entrambe le squadre soltanto... alğa, avanti, che è il modo kazako per augurare buona fortuna. Ce ne vorrà tanta".

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