Marco Villa: "Viviani un grande leader, anche da ragazzino. Si è ritirato come sognava"

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Il ct dell'Italia racconta il trionfo dell'azzurro al Mondiale nella gara d’addio: "Siamo cresciuti insieme e l’Italia ora è un sistema"

Stefano Arcobelli

Giornalista

29 ottobre - 08:20 - MILANO

La moglie Elena Cecchini lo ha definito "l’uomo più incredibile che abbia mai conosciuto". Matteo Trentin ha definito "orgasmico" l’oro mondiale di Elia Viviani nell’Eliminazione domenica sulla pista di Santiago del Cile. Ma come lo racconta Marco Villa, il ct azzurro? "Un aneddoto? Ci vorrebbe un libro..." sorride pacato Villa. I tanti anni insieme, la crescita e i trionfi fino a diventare "sistema Italia": Elia e Marco sono stati un sodalizio unico. I giorni dell’addio agonistico del Profeta che dà "l’arrivederci al ciclismo" servono a rileggere un po’ di quanto successo soprattutto in pista tra Villa e il campione che si era disegnato anche il finale d’oro mondiale. Emozioni che non sembrano esaurirsi tre giorno dopo la gara del commiato.

Villa, partiamo proprio dalla fine. 

"È stato proprio bello. Le qualità e il valore di Elia erano indiscutibili, sembrava che non avesse più sorprese da regalarci, ed invece è successo quello che lui sognava. Diceva: 'Sarebbe bello poter vincere il Mondiale nella gara d’addio che ha scelto lui', una gara mondiale, non un criterium qualsiasi. Ha trionfato in un contesto assoluto. Del resto, un anno fa lui, che era rimasto senza squadra, mi ripeteva: 'Non voglio finire così, non voglio annunciare il ritiro così'. S’è scelto insomma il modo per finire la carriera, se l’è disegnato come voleva lui. Quando si dice realizzare un sogno...". 

Dall’ultimo al primo Viviani: quali differenze trova?

"È sempre stato maturo. Sin dal mio primo anno da tecnico, vedevo un diciannovenne che sapeva cosa fare, che sapeva dove volesse arrivare. A volte mi dicevo 'come fa Elia ad essere così sicuro se non ha ancora corso un Mondiale élite?'. Ed invece si è presentato bene, con un secondo posto nello scratch". 

Un momento difficile che non dimenticherà? 

"Londra 2012 l’aveva preparata bene, e al via dell’ultima prova Omnium era primo, poi nel Chilometro che era per specialisti è arrivato sesto. Erano le sue prime gare olimpiche, cominciò da un sesto posto ma non si demoralizzò. Infatti poi arrivarono quattro anni intensi e redditizi anche su strada: Elia vinceva, non rinunciava a nulla per la strada e preparava la gare su pista. Non rinunciava ad un allenamento, né ha mai sottovalutato qualcosa". 

Elia vinceva e lei costruiva una grande Nazionale: c’è stato e com’è stato un effetto Viviani? 

"Sì, tra Omnium, gara lunghe e corte, di gruppo, lui mi è stato di aiuto, consentendomi di potenziare il mio bagaglio di esperienza. Io ero stato nominato commissario tecnico e non ero uscito da una scuola che dicesse come si faceva a vincere un’Olimpiade nel quartetto. Elia è stato eccezionale perché oltre alle sue doti mi ha dato grandi feedback. La metodologia che c’è adesso è diventata sistema per la Nazionale italiana, è nata dagli allenamenti al buio fatti con Elia nel velodromo di Montichiari, quando non c’era nessun altro in pista in quelle serate. Soltanto lui. Abbiamo capito insieme che cosa serviva per comparare strada e pista. E ho trovato in lui una persona molto ricettiva. È come se ci fossimo allenati insieme, abbiamo personalizzato gli allenamenti. È stata una comune crescita". 

A proposito, lei in che ruolo lo vedrebbe nel post carriera? 

"Io lo vedo bene dappertutto: come tecnico ha già esperienza, ha sempre avuti ottimi contatti con gli sponsor, che gli vogliono bene. È bravissimo a offrire immagine".

Come avete vissuto insieme i giorni da portabandiera di Elia per Tokyo 2021? 

"Tanti viaggi, lui girava tanto: ma Elia si è subito responsabilizzato. Già la mattina si programmava gli appuntamenti e gli impegni. E quell’esperienza l’ha reso ancora più brillante dopo. Nel periodo di Tokyo è venuto prima con me e poi insieme a Ganna, che aveva la cronometro. Si è allenato con noi su strada e in pista. Poteva fare il quartetto, e alla fine era più contento di me a vedere quell’oro al collo degli altri ragazzi. Poi la medaglia l’ha presa pure lui. Ripeto: non si demoralizzava mai, ma partecipava in tutto alla vita della squadra. È sempre stato un grande leader". 

E quella caduta di Rio 2016 come la visse?

"Il coreano fece un brusco cambio di direzione. Noi avevamo l’accordo che avrebbe deciso Elia se cambiare ruote o bici, sapeva insomma già cosa fare, e disse al meccanico 'prendo la seconda bici'. Andò a vincere. Anche quella fu l’ultima gara". 

Un ricordo finale? 

"Lamon lo chiamava il Profeta, improvvisarono una messa quelli del quartetto, ma Elia c’era anche dopo cena, giocava col quartetto alla playstation insieme con Scartezzini che era in Italia. Stava con loro fino alla fine della partita, oltre mezzanotte. Per dire quanto sentisse l’unità del gruppo. Perciò dico che resterà un punto di riferimento per anni".

Senza Viviani sarà un’Italia più debole, come quando si è ritirato Nibali? 

"Anche Milan e Ganna si appoggiano tanto su di lui, si confrontano spesso su come gestire certe situazioni. E lo è anche per me. Prima dei Mondiali in Ruanda o alla Vuelta ci telefonavano. Sarà sempre uno di noi".

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