Incocciati: "Van Basten mi chiese la maglia. Così ho fatto riconciliare Maradona e suo figlio"

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L'ex bomber di Milan e Napoli tra impegno politico, università e frantoio: "In politica puoi prendere gol da chi ha la tua stessa maglia... A casa mia ho dedicato un viale a Diego"

Giulio Di Feo

Giornalista

19 ottobre 2025 (modifica alle 08:13) - MILANO

Per Liedholm e Castagner era un piacere vederlo, per Maradona era più di un partner d’attacco. Beppe Incocciati da Fiuggi è stato uno che non s’è mai risparmiato una bella giocata ed è così anche oggi, a 61 anni. La sua storia nasce dai sacrifici, e dai pullman: "Da bambino a Fiuggi già mi allenavo con gli adulti in Promozione, poi mi consigliarono di andare a Palestrina, unico settore giovanile vero della zona. Ogni giorno mi alzavo, corriera per Anagni, scuola, panino della mamma, corriera per Palestrina, allenamento, un’altra corriera e non tornavo a casa prima delle 10. Così fino a quel giorno ad Ascoli...".

Che succede ad Ascoli?

"Torneo con le giovanili più importanti d’Italia, fui capocannoniere e miglior giocatore. Zagatti, grande terzino degli anni 50 e allenatore della Primavera del Milan, mi prese all’istante. Avevo 15 anni, mi misero su un aereo e mi ritrovai a Milano. Tanti pianti, nostalgia di casa, ma vivevo un sogno e me lo tenni stretto, nel giro di due anni arriva l’esordio in A".

Erano gli anni del Mundialito: c’erano il Milan, l’Inter, gli squadroni stranieri...

"Sì, a San Siro vennero il Flamengo di Leo Junior e Leandro, l’Ajax di Cruijff. Poi Johan tornò in prova al Milan ma non lo presero per un problema al ginocchio".

Lei iniziò a brillare proprio lì.

"Mi dicevano che ero elegante e mi ci convinsi, me lo dicono ancora oggi i miei ex compagni. Nell’Ajax c’era Van Basten, ragazzino come me, mi chiese la maglia. Poi con Marco siamo diventati amici, condividiamo la passione del golf e spesso ci troviamo sui campi. Un giorno mi fa: 'Ma lo sai che a casa ho ancora la maglia che mi hai dato al Mundialito?'".

Poi la storia al Milan finì.

"Mi mandarono ad Ascoli in prestito, io, Vincenzi e Barbuti facemmo un mare di gol e vincemmo la B. Al Milan arrivò Berlusconi e volle a tutti i costi Donadoni, l’Atalanta ottenne in contropartita me, Icardi e Piotti. A Bergamo arrivammo in semifinale di Coppa Coppe, poi Pisa, anni straordinari. Piacevo ai presidenti e alla gente, segnavo ma ero anche uno di quelli che ti fa il tunnel, il pallonetto... Oggi di belle giocate individuali quante ne vedi?".

Ci racconti Maradona.

"Diego l’avevo conosciuto già a Milano, feci la prima rete in A contro il suo Napoli, vincemmo 2-1. Poi andai a festeggiare, e mentre facevo serata in un locale entrò lui. Ci ritrovammo a cenare insieme, ridere, prendere confidenza. Siamo dello stesso segno, due scorpioni, sintonia perfetta. A Napoli eravamo amici con le famiglie, stavamo sempre insieme. Tranne la notte, lui usciva e io no".

Viale Diego Armando Maradona.

"L’ho fatto personalmente, a casa mia, per sentirlo ancora vicino a me, gli ho voluto un sacco di bene. Parlo da nonno e non da ex calciatore: Maradona ci lascia due grosse lezioni".

Quali?

"La prima: Diego è nato in una baraccopoli ed è diventato il numero uno al mondo, quindi non pensate mai che la vita non vi offra delle possibilità. La seconda: la parabola di Maradona si è arrestata per colpa della droga, quindi statene lontani, rovinarsi è un attimo".

Grazie a lei Diego si riconciliò con suo figlio.

"Sì, me lo chiese Diego Junior. Suo padre venne a trovarmi a Fiuggi, lo portai sul campo da golf e glielo feci incontrare. Li lasciai soli, li guardavo da lontano, seduti a parlare per oltre un’ora, e sorridevo. Maradona fu un galantuomo, avrebbe avuto tutto il diritto di fregarsene. Invece ha riconosciuto suo figlio, che oggi è un uomo felice".

Maradona ispirò anche il suo gol più bello.

"A Budapest, in Coppa dei Campioni. Lancio di Diego da centrocampo, tacco al volo mio per Careca, palla di ritorno, controllo e sinistro in rete. Ci capivamo all’istante, è bello pensare che parlavo la stessa lingua di Maradona e Careca".

I sogni di quel Napoli, 1990-91, si sbriciolarono contro lo Spartak Mosca.

"Un confronto stregato, presi traversa all’andata e palo al ritorno, un altro palo lo prese Francini, se fossimo passati avremmo incontrato il Real in crisi, c’era tutto per arrivare in altissimo. Ma lì il problema di Diego iniziò a emergere, insieme alla sua instabilità. Partimmo per Mosca senza di lui, ci raggiunse con un volo privato, litigò con Bigon che non lo fece giocare, Moggi prese le parti della società...".

Oggi è consigliere del ministro Tajani per le tematiche giovanili e sportive. Più dura la politica o il pallone?

"Nel pallone hai una squadra con la stessa maglia, tutti difendono la stessa porta e cercano di far gol nell’altra. Pure in politica tutti hanno la stessa maglia, poi però capita che uno si gira e fa gol nella tua porta... Insegno anche a Tor Vergata, facoltà di scienze motorie. Ho fatto l’altro giorno gli esami a una quarantina di futuri professionisti dello sport. Leggere la soddisfazione nei loro occhi è una sensazione bellissima".

Incocciati, l’olio che profuma di gol.

"Un’idea di mio figlio, che è dottore agronomo e ha sposato una ragazza che ha un frantoio. Io ci ho messo un pallone al posto della O nel logo, un prodotto di altissima qualità".

Un altro Incocciati l’ha mai visto?

"No, ma sono cambiati i tempi. Con Liedholm prima di ogni allenamento facevamo 40-50’ di tecnica individuale. Oggi non lo fa nessuno, poi vedi attaccanti che arrivano sulla trequarti, non si prendono responsabilità e la palla torna indietro. Ai miei tempi anche i difensori, gente come Baresi, Maldera, Collovati, davano del tu alla palla, saltavano l’uomo. Gli ultimi prodotti di quella scuola hanno vinto il Mondiale 2006, poi cosa abbiamo creato? Grandi fisici, poca tecnica e una Nazionale che salta due Mondiali e rischia il terzo. Vedo tanti studiosi di calcio ma poca gente che lo insegna...".

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