La fiorettista portabandiera a Parigi, al vertice da 17 anni: "Alla mia età e con due bimbi, la sfida è scoprire dove arrivo. Avanti un anno alla volta, obiettivo Los Angeles 2028"
Portabandiera olimpica, fiorettista da leggenda, monumento vivente alla figura di mamma atleta: Arianna Errigo punta sempre alla prossima medaglia, che sarebbe la numero 50, tra Olimpiadi, Mondiali ed Europei. Seduti dall’alto di questa miniera si riesce a razionalizzare meglio anche quando, come il recente bronzo ai Mondiali di Tbilisi, il metallo non è quello sperato? "Ho vissuto la mia carriera in modi completamente diversi. A Londra dopo l’argento ero disperata. Poi dopo Rio ho imparato ad apprezzare e festeggiare una medaglia, che è sempre una medaglia: ne ho imparato l’importanza perché vincere non è scontato. Lo dice una che ha vissuto lo sport come ossessione, con una componente di cattiveria agonistica forte, poi dopo essere diventata mamma sono cambiate anche le priorità. Alla fine prevale l’istinto, non c’è una cosa giusta o sbagliata, nessuno te lo può dire. Ma quello che va trasmesso a tutti, anche sulla scia del dibattito che c’è stato a Parigi, è che una gara che va male non può essere un fallimento. Facciamo sport, la vita è un’altra"

Arianna Errigo
37 anni
Monzese, fiorettista dell'Arma dei Carabinieri, a livello individuale ha vinto due ori mondiali e tre europei. Fu argento olimpico a Londra
Nelle 49 medaglie manca l’oro olimpico individuale. Si razionalizza anche questo?
"Lo vivo come un premio alla carriera, se dovessi vincerlo: una ciliegina sulla torta ci starebbe bene. Ora ho capito che quella medaglia non mi dà e non mi toglie niente, non cambia quello che ho fatto, non decide se sono una campionessa, non mi dà sofferenza non raggiungere quell’obiettivo. Poi resta un sogno che spero di realizzare e ci proverò finché ne avrò la possibilità, ma se dovessi smettere domani sono orgogliosa della carriera che ho fatto: l’oro olimpico l’ho mancato per una stoccata, ho fatto tante Olimpiadi, sono all’apice a livello mondiale da 17 anni… Come posso pensare di aver fallito?".
In 17 anni è stata l’anello di congiunzione tra due generazioni: come è cambiato nelle sue compagne il modo di fare scherma?
"Sono arrivata in una generazione in cui si faceva una scherma che non mi divertiva, che ho voluto cambiare e ho la soddisfazione di averla cambiata. Era una scherma molto più lenta, attendista, in cui aspettavi l’errore dell’avversario, difficilmente si arrivava a 15 stoccate. Anche negli allenamenti in nazionale mi dicevano di non attaccare, e la mia prima sfida è stata dimostrare che si può riuscire a vincere con un altro tipo di scherma: si guarda sempre a chi vince, e vedere oggi una scherma più dinamica, veloce, d’attacco, aggressiva è una grande soddisfazione".
E com’è cambiato il clima in azzurro? Rispetto alle tensioni del Dream Team con Vezzali e Di Francisca.
"È cambiato il clima perché prima c’era molta più competizione non solo in pedana anche fuori, l’ambiente è molto più tranquillo, saranno anche le personalità che sono cambiate. Per quanto mi riguarda esiste un prima, con Valentina Vezzali, e un dopo: per me avere lei era uno stimolo bellissimo. Di quel clima vedevo la parte che mi migliorava, quella tensione faceva tenere sempre alto il livello. Però era pesante, non so se avrei retto così tanti anni".
Ho vissuto lo sport come ossessione, a Londra dopo l'argento ero disperata. Ma se sei realizzata lo porti in pedana: i figli ti danno i superpoteri
Successi, età e maternità aiutano a mettere tutto in prospettiva diversa. È possibile essere un’atleta di eccellenza pur avendo priorità diverse?
"Ci sto provando, mi piacciono le sfide. Non so neanche io. È stata una sorpresa essere seconda al mondo a quattro mesi e mezzo da un parto cesareo gemellare e voglio scoprire dove posso arrivare. Non so se sarà Los Angeles, ora che, oltre all’età, sono cambiate le priorità e a livello organizzativo ogni giorno è una sorpresa. Quest’anno ho sbagliato, non sono riuscita ad allenarmi come volevo e da settembre cambierò metodo, con test periodici di alcuni parametri perché con la vita da mamma - la stanchezza, il sonno perso - alcune percezioni non sono più le stesse. Io ci credo di poter essere ancora competitiva per qualche anno, consapevole però che può cambiare tutto".
Quell’argento a Milano subito dopo la nascita di Stefano e Mirea dove lo colloca tra le 49 medaglie?
"Al primo posto ma con distacco. Già partecipare era una follia, quattro mesi e mezzo non bastano a preparare un Mondiale neanche se stai bene: togliamo altri 50 giorni in cui dopo il taglio cesareo non solo non potevo allenarmi ma dovevo proprio stare ferma. Poi c’erano i dubbi, il problema di dormire molto meno, allattare, anche la parte ormonale: fisicamente stavo malissimo, non riuscivo neanche a fare una torsione, col baricentro completamente spostato. Però ogni giorno miglioravo, e lì devo ringraziare la fiducia di Stefano Cerioni che ci ha creduto: 'So che in queste situazioni drammatiche fai la differenza', mi ha detto, e ha avuto ragione. Il Mondiale in casa ha aiutato, altrimenti non potevo esserci. Due medaglie bellissime che mi hanno permesso di arrivare a Parigi. E da portabandiera".
Come si racconta a un figlio il significato di essere portabandiera ai Giochi?
"A una cosa così grande neanche ci pensavo: a vincere un’Olimpiade sì, ma fare la portabandiera… non rappresenti solo la scherma, ma tutti gli sport, anzi un paese intero. Una gratificazione incredibile ed è stato emozionante tutto: andare da Mattarella a ritirare il tricolore, fare il discorso, la cerimonia, essere davanti a tutti i compagni di ogni sport, fino alla riconsegna della bandiera a settembre".

La maternità cosa ha aggiunto in pedana?
"In primis essere una persona realizzata e serena, che credo che sia una vittoria per sé stessi. Poi mi ha fatto rendere conto delle energie infinite che ho e che tutti abbiamo e non sappiamo di avere: prima mi lamentavo che ero stanca dopo essermi allenata duramente, invece poi ho capito che la stanchezza è un’altra, l’asticella si può spingere molto più in alto. Quando si dice che una mamma ha i superpoteri è anche questo. Ed è bello andare in pedana con questa leggerezza".
Quanto ci ha messo a sentirsi come prima in pedana? O almeno bene in maniera diversa.
"Vado a momenti. Non posso dire di aver raggiunto per un periodo costante lo stato di forma perfetto perché magari quando sono arrivata al top fisicamente poi ero distrutta, e i particolari a questi livelli fanno la differenza. Ma ci sono stati momenti, pochi, in cui mi sentivo veramente bene, e sono contenta perché vuol dire che ho ancora margine: quando riposerò di più e mi allenerò meglio, il livello si può alzare. Praticamente sono al terzo anno di una nuova carriera".
Essere mamma ha inciso sulla scherma. Fare scherma, uno sport anche molto mentale, ha aiutato nella vita da mamma?
"Tanto. Nell’essere pronta ad affrontare gli imprevisti la scherma mi ha preparato molto: nella vita da mamma ogni giorno c’è qualcosa di diverso, bisogna continuamente adattarsi, trovare una soluzione. Come nella scherma".
Valentina Vezzali era uno stimolo bellissimo. Quella tensione faceva tenere sempre alto il livello. Però non so se avrei retto così tanti anni
La sua carriera da mamma è un messaggio importante per tutte le donne. Cosa servirebbe perché non rimanesse solo un esempio raro?
"Regolamenti chiari a livello legislativo e sportivo. Io sono stata fortunatissima con un ct che non mi ha abbandonato e una federazione che non mi ha ostacolato, ma ti devi affidare al buon cuore di chi in quel momento decide e non può essere così. Cosa serve in concreto? Garantire tempo all’atleta, per la gravidanza e subito dopo: se dopo che rientra non è competitiva, ci mancherebbe, ma bisogna darle un range di tempo per mettersi alla prova. Anche perché c’è quest’idea sbagliata che quando diventi mamma è finita. Si pensa sempre che sia una persona a cui serve aiuto, ed è vero. Ma c’è gente che dopo quando rientra diventa ancora più forte e tenace".
Il fatto che la scherma non sia più il focus principale fa prevalere poterla vivere come un divertimento oppure la stanchezza per riuscire a continuare?
"Assolutamente un divertimento, continuo a farla perché mi piace. Però sicuramente mentalmente sono cambiata: da un lato vivere le gare in questo modo è stupendo, prima ero triste e mi arrabbiavo. Dal punto di vista sportivo però un po’ bisogna soffrirci".
La cucina, le faccende: è una mamma all’antica?
"Per alcune cose sì, mi piace preparare anche perché essendo un’atleta ho la deformazione professionale di cercare sempre cose genuine. D’altra parte però siamo anche spartani: si prende, si parte, si va, case diverse con letti diversi, e i bimbi si adattano molto tranquillamente alla vita che facciamo".
Quanto tempo rimane per gli hobby? A partire dalla passione per il surf.
"Ho dovuto un po’ abbandonare. Con mio marito facciamo una vacanza all’anno così: a quattro mesi li abbiamo portati in Spagna a surfare, a otto a Tenerife. Però le pazzie di svegliarsi alle 4, andare a Santa Marinella a surfare e tornare in tempo per l’allenamento non le facciamo più. Ma tra un po’ le faremo tutti insieme".
Com’è per una brianzola la vita a Frascati?
"La conoscevo già molto bene da quando ero più piccola perché è uno dei centri più forti per il fioretto. Non è stato traumatico, Frascati non è caotica come Roma. Ed essendo un po’ meteoropatica, contenta col sole e con le temperature più calde, questo mi ha aiutato parecchio. Poi dopo otto mesi che ero qui mi sono fidanzata con Luca, quindi benissimo".
Luca Simoncelli, ora suo allenatore. Con la faccenda del portare il lavoro a casa come la mettiamo?
"È bellissimo, abbiamo trovato un equilibrio fantastico già da quando eravamo entrambi atleti: tanto tempo insieme tra gare e allenamenti poi a casa basta, lì ci dedicavamo agli hobby, dalla cucina alle serie, dal surf allo skate. E quando lui ha iniziato a insegnare quest’impostazione è rimasta".
Se non ci fosse stata la scherma cosa avrebbe fatto?
"Non fosse stato il fioretto, la sciabola. Altrimenti la spada. Altrimenti un altro sport. Comunque la sportiva. Lo sport per me è fondamentale".
Con Luca, marito e allenatore, abbiamo un equilibrio fantastico. Il surf insieme? Presto anche con i bambini
A proposito, ha provato ad andare ai Giochi di Tokyo con la doppia arma: col senno di poi la parentesi della sciabola è stato tempo perso o un’opportunità persa?
"È stato sicuramente un rimpianto. Riuscire a entrare nella squadra della sciabola è una soddisfazione che non mi toglierà nessuno, e ancora oggi le avversarie mi chiedono perché ho smesso, così come la consapevolezza che avrei potuto fare l’Olimpiade con entrambe le armi. Il rimpianto è che non mi è stato permesso di fare quello che avevo guadagnato sul campo, doveva parlare la pedana, e mi è stato negato non in partenza ma dopo aver investito in questa scelta personale e di vita tre anni in cui, pur di mettermi alla prova con un’altra arma, avevo accettato che questo potesse comportare scendere nel ranking, e in cui magari ho escluso la possibilità di avere una famiglia".
Cosa farà dopo la scherma?
"Vediamo. Mi piacerebbe restare nel mondo della scherma e dello sport a cui ho dedicato una vita e di cui conosco ogni sfaccettatura, mi piacerebbe ridare qualcosa indietro ma non come maestro di scherma, non mi vedo portata. Dipende anche dalle opportunità che ci sono nel momento in cui smetti. Ma non ho un’idea precisa, oggi nella testa sono un’atleta e penso a quello, poi vediamo. Di certo dovrò fare la mamma, una cosa meravigliosa che ho sempre voluto fare".
Quando succederà?
"A 37 anni non posso pensare solo alla mia volontà ma a cose che non posso preventivare, anche perché non ho neanche tanti precedenti a cui fare riferimento: non so se da un anno all’altro avrò un tracollo, non so se quando i bimbi cresceranno non sarà più possibile e ho sempre detto che continuerò a fare scherma solo con loro a fianco. Per questo, come ho detto dopo Parigi, vado avanti un anno per volta. Con l’obiettivo di Los Angeles".