Dalla Spagna con un cognome sicuramente leggendario: quando le coincidenze diventano destino e il calcio racconta storie incredibili.
29 luglio 2025 (modifica il 30 luglio 2025 | 00:32)

Chiamarsi Totti e giocare a calcio è un pò come chiamarsi Baglioni e cantare al karaoke, oppure chiamarsi Bolle e ballare: le aspettative ti piombano addosso ancora prima di scendere in campo. Eppure il giovane Totti spagnolo sembra affrontare il peso del suo cognome con naturalezza, senza l’ossessione di dover replicare i colpi di genio del più celebre Francesco.
Il Totti spagnolo e la sua storia
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Scorrendo il suo profilo Instagram si capisce subito che il ragazzo vive di calcio: allenamenti, scarpini consumati e quell’aria di chi vuole farsi strada, passo dopo passo. Niente lustrini, niente dichiarazioni roboanti, ma tanta voglia di lavorare. Antonio Vera Carrillo, in arte Totti, gioca per il Yeclano Deportivo, una realtà della quarta divisione spagnola, ed ha il ruolo di centrocampista difensivo. Classe 2001, piede destro, valutazione intorno ai 50.000 euro, secondo Transfermarkt, ma idee chiare: il calcio, per lui, è un progetto serio.
Totti la scorsa stagione l'ha trascorsa nel Real Murcia, da capitano, mentre in passato ha vestito le maglie del Murcia Imperial, Getafe B, Lorca FC, Saragozza Juvenil, Archena e Murcia under 19. Se è vero che il nome plasma il destino, chiamarsi Totti e fare il calciatore non è mai un caso. L’assonanza con l’ex capitano della Roma è inevitabile, e il paragone, per quanto ingombrante, diventa quasi parte del personaggio. Non ha la romanità tatuata addosso né un Olimpico che lo acclama, ma il cognome resta lì, come una profezia da inseguire: portare il nome di un re del calcio e provare a ritagliarsi un regno tutto suo all'interno dello stadio De La Constitución di Murcia. Ma perchè ha scelto di chiamarsi Totti?
Durante un viaggio a Roma, entrando in un negozio Adidas insieme ai suoi fratelli e alla famiglia, il giovane vide su uno schermo i video di Francesco Totti e chiese chi fosse. Alla risposta, semplice e diretta, “È Totti”, replicò senza esitazione: “Da adesso mi chiamo Totti”. All’inizio fu motivo di risate, ma al ritorno a casa mantenne il punto: voleva essere chiamato così, e da quel momento Totti è diventato il suo nome per tutti.
Quando le coincidenze smettono di essere casuali
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Carl Gustav Jung la chiamava sincronicità: quegli eventi che sembrano scollegati, ma che a uno sguardo più attento assumono un significato quasi simbolico. E come chiamare altrimenti il fatto che un ragazzo spagnolo, nato a centinaia di chilometri dall’Olimpico, finisca per chiamarsi proprio come l’idolo assoluto di Roma?
Non è solo un gioco del destino: è come se il suo nome lo avesse preceduto, trascinandolo nel mondo del pallone con un peso e una promessa. Perché puoi nascere ovunque, puoi giocare nelle serie minori, ma se ti chiami Totti, il calcio non è mai solo un passatempo: diventa un racconto, una metafora, un filo invisibile che lega la tua storia a qualcosa di più grande di te.
Il nostro Totti non ha ancora scritto pagine di storia né conquistato trofei, ma in un calcio che divora giovani promesse ancor prima di maturare, c’è qualcosa di affascinante nel vedere un ragazzo con un cognome così altisonante lottare nei campi meno patinati della Spagna. Forse è lì che si forgia davvero un giocatore, lontano dalle luci e dai riflettori. Chiamarsi Totti, oggi, può essere un fardello o un dono. Dipende solo da come scegli di portarlo. E lui sembra portarlo con leggerezza, e con quella silenziosa dignità che, forse, fa dei grandi uomini dei veri calciatori.