Cristiana Capotondi: "La Roma nel Dna grazie a mio nonno. CR7 è il calcio moderno"

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Così l'attrice e sportiva, con un passato da calciatrice: "Il lavoro in Lega Pro? Una grande palestra, ma come donna è complicato." E sulla Nazionale: "Portate l'Italia al mondiale, i bambini non tifano più"

Elisabetta Esposito

Giornalista

16 luglio - 22:54 - MILANO

È in Sardegna per un po’ di sane vacanze in famiglia, ma ieri sera Cristiana Capotondi - che è stata anche capodelegazione delle azzurre - non poteva non restare incollata alla tv per i quarti dell’Europeo contro la Norvegia. Il suo amore per il calcio, che ha anche giocato a lungo ("Ero esterno di difesa") è cosa nota, così decidiamo di iniziare questa intervista parlando d’altro, sfruttando il titolo della serie Rai di cui è protagonista con Lucia Mascino e che andrà in onda il prossimo autunno: La ricetta della felicità. 

Sportivamente parlando esiste una ricetta della felicità? 

"Io sarei molto felice se avessi vent’anni di meno, in modo da poter fare tutti gli sport non dal divano! Sono al mare, un tempo nuotavo per chilometri, adesso faccio più fatica... Vorrei riavere quell’energia e la libertà che ti dà avere un fisico che ti segue nei tuoi desideri". 

Di buono c’è che lo sport dal divano ci dà belle soddisfazioni. 

"Sì, se penso al tennis oggi abbiamo grandi personaggi, maschili e femminili. E poi le azzurre all’Europeo hanno lasciato un segno importante. I quarti restano un’enorme conquista, se pensiamo alla precedente edizione è un altro andare, frutto di un grande lavoro e di una forte coesione tra le ragazze. E mi piace ricordare Elena Linari, che si è da poco laureata: sono donne che seguono un percorso di crescita personale e intellettuale. Ora finalmente sono delle professioniste, una battaglia vinta dalle ragazze e dalla politica che ha riconosciuto i diritti delle giocatrici dimostrando attenzione per il movimento". 

Dei due anni in Lega Pro con Ghirelli che cosa resta? 

"È stata una grande palestra, ho compreso le dinamiche che muovono il mondo del calcio, che è un’organizzazione piramidale, quindi le cose che non funzionano al vertice molto spesso dipendono dalla base. Penso ad esempio ai vivai, che oggi non sono così vivi. Ma quegli anni mi hanno fatto conoscere anche tante storie straordinarie, di valenza sociale sul territorio. Io ero vicepresidente quando c’era il Covid: non sapete quanti calciatori si sono dati da fare per aiutare gli altri. E poi c’è l’aspetto imprenditoriale, perché questi club sono anche delle imprese che a volte funzionano molto bene. Come l’Entella, guidata un imprenditore straordinario come Antonio Gozzi, o il Bari che è stato preso da Luigi De Laurentiis. Sono realtà che ti fanno comprendere come dovrebbe essere lo sport, perché la sostenibilità economica resta il primo obiettivo".

Che cosa non le è piaciuto? 

"Spesso ci si scontra con la mancanza di competenze specifiche e con un atteggiamento verso le donne non rispettoso del genere. Io, che prestavo gratuitamente la mia forza di volontà e la mia umile capacità di mettermi al servizio di qualcosa, ho pagato molto il fatto di essere donna e di non venire dal mondo del calcio. Ma in Italia è sempre difficile cambiare le cose o dare delle accelerazioni anche verso uno svecchiamento di abitudini e pratiche. Resta un’opportunità di cui sono molto grata e che rifarei senza esitare. Il legame con la Lega Pro è rimasto profondo". 

A proposito di legami profondi, la Roma? 

"Sono una trasteverina, ho il giallo e il rosso nel dna visto pure che mio nonno, Giorgio Capotondi, era accompagnatore della squadra. Però negli anni sono diventata più laica, ho vissuto tanto a Milano o ho visto decine di partite internazionali soprattutto di Milan, Inter e Juventus. Mentre il mio rapporto con la Roma, soprattutto dopo che ha lasciato Totti, è un po’ cambiato. La mia vera passione adesso sono le semifinali di Champions: credo che negli ultimi anni abbiano espresso il calcio più bello che io abbia mai visto. La squadra migliore oggi? Il Psg, ma non dimentico il Real Madrid e voglio vedere il Brasile di Ancelotti. Ho una passione per gli allenatori, veri artefici delle grandi trasformazioni, dal calcio totale olandese alla rivoluzione sacchiana fino a Guardiola. Quanto ai giocatori, il calcio moderno per me è quello espresso dalla figura di Cristiano Ronaldo, uno che salta come un saltatore e corre come un centometrista, forza di volontà applicata al talento e completezza come atleta ancor prima che come calciatore". 

Della Serie A quale tecnico le piace? 

"Inzaghi ha fatto un lavoro fantastico all’Inter, così come Gasperini all’Atalanta. Mi piace molto Mancini, che credo abbia in qualche modo consegnato il triplete nelle mani di Mourinho. E poi il signor Claudio Ranieri, che ha portato la gentilezza nel calcio". 

E il suo no alla Nazionale? 

"Da italiana mi è dispiaciuto molto, avrebbe fatto un lavoro fantastico anche da un punto di vista emotivo. Avrebbe spiegato ai calciatori che il loro pensiero sulla bandiera deve essere gentile, che devono prendersi cura di quel simbolo, di quella maglia. Ma credo sia un po’ stanco e la scelta di voler mantenere un impegno preso merita rispetto". 

Gasperini alla Roma? 

"Sarà bello, vedo della progettualità, anche se resto dell’idea che De Rossi meritasse un po’ di tempo in più. Forse per lui è stato meglio così". 

L’Italia andrà al Mondiale? 

"Me lo auguro! Chi come me è nato nel 1980 sa che Gattuso non ha mai tirato indietro la gamba, che ha forza, capacità e determinazione, spero riesca a trasmetterle. Non so se basterà, ma lancio un appello: portate l’Italia al Mondiale a tutti i costi e in tutti i modi, fosse anche a braccia, perché i bambini non tifano ed è un grave peccato. Serve una profonda trasformazione, un cambio di mentalità che porti i calciatori a un maggiore rispetto per la Serie A e i club in cui sono cresciuti, così come per la maglia della Nazionale. E non sono solo parole".

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