L'oro olimpico di Tokyo si racconta, tra momenti bui e risalite, sempre alla ricerca di un miglioramento come donna e come atleta: "Ho imparato quanto è importante bere due litri di acqua al giorno"
C’è un momento, dopo ogni traguardo, in cui le gambe tremano e il cuore parla. L’atleta delle Fiamme Gialle, Antonella Palmisano lo conosce bene. Oro olimpico a Tokyo ma soprattutto donna capace di rialzarsi ogni volta, anche quando la delusione sembrava più pesante della fatica. La sua storia è fatta di coraggio, di sorrisi che resistono al dolore e di un fiore tra i capelli diventato simbolo di leggerezza e determinazione. Oggi Antonella continua a camminare, anzi a marciare, per dare voce a una disciplina silenziosa e autentica come lei, portando con sé la forza di chi non ha mai smesso di credere nei propri sogni: “Dopo i Giochi a Cinque Cerchi in Giappone ho ricevuto tantissimi messaggi da persone che mi raccontavano quanto si fossero emozionate, guardando la mia impresa sportiva. In quel momento mi sono detta: “Vado avanti: lo faccio per amore della marcia”. Sentivo forte il desiderio di dare visibilità alla mia disciplina, di farla conoscere e apprezzare”.
E quando i risultati non arrivano, come si supera la delusione?
“Dopo Parigi, per esempio, ho attraversato un periodo molto difficile: ero insoddisfatta, mi davo la colpa di non aver gestito al meglio la quotidianità e di aver preso il Covid. L’energia, in quel momento, me l’ha data Maria Perez, marciatrice come me: la nostra amicizia è stata fondamentale. Per la prima volta che ho trovato una risorsa così importante in una collega”.
Qual è la medaglia che le ha dato più soddisfazione?
“Quella di Tokyo è stata unica. Arrivavo da tre mesi complicatissimi, in cui nessuno riusciva a capire come risolvere una problematica che mi stava limitando. Trenta giorni prima delle Olimpiadi, come tentativo estremo, ho provato una terapia a base di cortisone”.
Se la sente di raccontarci le sensazioni provate all’epoca?
“In quella buia quotidianità vissuta insieme al mio allenatore di allora, Patrizio Parcesepe, ricordo la paura di entrambi all’idea di rinunciare a quella gara. Cinque anni di lavoro, di sacrifici, sembravano dissolversi come neve al sole. Ma, nonostante tutto, ho deciso di provarci. Il suo discorso, pieno di determinazione e di energia, mi ha dato la forza di non cedere. E quel giorno, alla partenza, la nostra forza e la nostra unione ci hanno portati a vincere la nostra Olimpiade. Il sogno più bello…”.
Che emozione pazzesca. Non è stata, comunque, l’unica medaglia ottenuta con tanta sofferenza…
“Ricordo anche il bronzo mondiale del 2023 a Budapest. Dopo le Olimpiadi in Giappone non ho dato il giusto a peso a problemi fisici che si sono protratti nel tempo. Eppure io, alla medaglia mondiale del 2023, ci credevo. Forse ero l’unica. È per questo che la considero una delle più preziose. Forse proprio in quel momento ho preso una decisione molto forte”.
Parla del passaggio a un nuovo allenatore, che è anche suo marito?
“Esatto. Il 2023 è stato un anno di grandi cambiamenti: molti atleti internazionali hanno scelto una guida tecnica diversa. E anche per me è arrivato quel momento. La decisione non è stata semplice, dopo dodici anni con il mio ex allenatore. Ovviamente avevo paura di lasciare una strada sicura, grazie alla quale avevo raggiunto risultati importanti”.
Perché allora è arrivata a questa scelta?
“Sentivo il bisogno di un nuovo equilibrio, di uno scossone, di un contesto più sereno per tornare a esprimermi al meglio. Con mio marito come allenatore ho trovato una nuova sintonia e, i Mondiali di Tokyo con il record italiano sui 35 km, mi hanno dato fiducia e conferma della bontà della scelta fatta”.
Ora si riparte: qual è il programma di lavoro?
“Nelle prossime due settimane dovrò riabituare il corpo alla preparazione. Anche in questo periodo in cui non mi sono allenata, ci sono stati tanti impegni. Ho voluto dare voce al mio sport, senza tirarmi indietro davanti a tante opportunità: incontri, meeting, interviste. Anche questo, da un certo punto di vista, logora fisicamente e mentalmente. Perché io pretendo sempre tanto da me stessa, non solo quando marcio”.
La sua giornata tipo in un periodo di carico, invece?
“Nel periodo di preparazione intensa, che sarà da gennaio in poi, l’obiettivo è accumulare quanti più chilometri possibili. L’anno prossimo voglio inserire tante prove sui 21 km, con la prima gara prevista a marzo”.
Quanto tempo dedica al potenziamento in palestra e quanto al lavoro tecnico sulla marcia?
“In accordo con il mio fisioterapista Cristian Bruno e con lo strength and conditioning coach Atoll Lau, abbiamo deciso di svolgere due sedute di forza a settimana, da circa due ore e mezza ciascuna. Abbiamo eseguito test di forza mirati e introdotto esercizi specifici con carichi progressivi. Questo approccio ci ha permesso di “silenziare” il problema alla gamba che mi ha dato fastidio per tanto tempo”.
Che ruolo ha la tecnologia nella sua preparazione?
“È diventata una parte importante del mio lavoro. Analizziamo costantemente dati come ampiezza, rapidità e frequenza del passo. Quest’anno stiamo utilizzando molto di più il cardiofrequenzimetro per monitorare le reazioni del corpo agli sforzi. Grazie alle Fiamme Gialle abbiamo anche potuto utilizzare macchinari che ci permettono di valutare ogni giorno il livello di idratazione”.
A proposito, segue un piano alimentare rigoroso o preferisce ascoltare il proprio corpo?
“Nell’ultimo anno mi sono affidata ad Antonio Grimaldi come nutrizionista. Mi ha aiutata a imparare a bere, raggiungendo con un programma calibrato, i famosi due litri al giorno. È stato fondamentale a Tokyo: pur avendo avuto i crampi, in una situazione climatica quasi disumana, mi ha salvato da conseguenze ben peggiori che hanno vissuto altri colleghi”.
Lavora con un mental coach?
“Fino al 2021 ho avuto al mio fianco uno psicologo. Poi, in un periodo buio della mia vita, ho deciso di affidarmi a un mental coach, con cui ho collaborato fino a Parigi 2024. Sono figure che devono essere scelte dall’atleta, non imposte dall’esterno. Io sentivo di avere delle questioni personali da risolvere: quel percorso mi ha aiutata a ritrovare la serenità”.
In che modo affronta, nella propria testa, la solitudine della marcia?
“Chi sceglie la marcia lo sa fin da giovane: è una disciplina solitaria, non regala le luci della ribalta. Bisogna trovare dentro di sé la forza per andare avanti. Ma è anche questo che rende speciale la mia categoria: la marcia insegna a conoscere se stessi, a credere nei propri mezzi, a costruire la propria forza interiore passo dopo passo”.
Il fiore tra i capelli è diventato un simbolo: che significato ha per lei, dopo tanti anni e tanti traguardi raggiunti?
“Sin da piccola volevo distinguermi dalle altre atlete. Chiesi aiuto a mamma che mi preparò quel fermaglio. Da allora il fiore è diventato un segno di famiglia, rappresenta una tradizione. Oggi è parte di me, della mia storia. Quando mi riconoscono come 'la marciatrice con il fiore', ne sono felice: è il mio modo di portare sempre con me le persone che amo”.










English (US) ·