Allegri, Pasolini, la filosofia e lo champagne: addio a Galeone, maestro di calcio amato da tutti

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Aveva 84 anni, vinto da una lunga malattia. Liedholm e Cruijff fonte di ispirazione, la sua filosofia di gioco croata per passione e olandese per vocazione all’attacco. A Pescara a fine allenamento pizzette e champagne. Scoprì il primo Gattuso. Anche Gasperini, Leo Junior e Sliskovic tra i suoi preferiti

Alessandra Bocci

Giornalista

2 novembre 2025 (modifica alle 16:29) - MILANO

“La morte non è niente, sono solamente passato dall’altra parte, è come se stessi nella stanza accanto”. Giovanni Galeone potrebbe aver sussurrato queste parole alla moglie Checca, anticonvenzionale e ironica quanto lui, prima di chiudere la sua esperienza in questo mondo. Aveva 84 anni, tante storie da raccontare, molti amici, alcuni detrattori, ma erano di più gli amici sinceri e affezionati, e in fondo anche i detrattori gli volevano bene: per la sua coerenza, per i modi signorili che ne facevano un grillo parlante mai sgradevole. Il Gale se n’è andato a Udine, una delle città della sua vita, dopo una malattia che lo ha tormentato, ma che ha saputo domare a lungo. 

un calcio diverso

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Il suo è stato un calcio diverso, croato per passione e olandese per vocazione all’attacco. Era nato a Napoli da padre ingegnere: famiglia benestante, madre amante della letteratura. Al giovane Gale piacevano tanto Sartre e altri scrittori e filosofi, ma anche il pallone: cresciuto a Trieste nel quartiere di Servola, amava ricordare di quando si divertiva per strada, come si usava una volta. “Allora non giocavamo mai con quelli di città, eravamo troppo più forti. Poi sono arrivati i profughi che venivano dalle nostre parti e con il pallone facevano qualsiasi cosa. Giocavamo scalzi, come fra scugnizzi. Logicamente questo non si fa più, ma è stato allora che mi sono innamorato dei croati e del loro calcio fantasioso”. Ricordava il mondo del dopoguerra, il Gale, senza farsi mai prendere oltremisura dalla nostalgia. Era andato via da casa per amore del pallone quando era ancora adolescente, ma sapeva di aver potuto fare tante cose perché alle spalle aveva una famiglia che poteva appoggiarlo. Lo hanno considerato a lungo un intellettuale, meglio uno chansonnier del calcio, eppure non si è mai dato arie tipo “ora vi spiego le cose”. Ridacchiava di chi si aggroviglia con i numeri e i sistemi di gioco senza mai risultare supponente. Punzecchiava, certo, con arguzia. Guardava indietro, ma era un uomo moderno. Aveva il calcio nelle ossa, quello passato, presente e anche futuro. Aveva sempre da nominare qualche giocatore che neppure i giornalisti più informati sapevano bene chi fosse. Era un esteta con i piedi per terra. 

champagne e almodovar

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Dei suoi modelli come allenatore si sa: Liedholm, Cruijff. Si sa anche tutto della sua carriera brillante ma mai ai vertici assoluti: ha ottenuto quattro promozioni in Serie A in provincia fra Pescara, Udine e Perugia, è adorato a Udine dove ha lavorato e vissuto a più riprese, ma è ancora venerato a Pescara per i suoi successi degli anni Ottanta. I grandi del calcio, Berlusconi, Moratti, lo hanno corteggiato, “ma la telefonata giusta non è mai arrivata”. Era il bon vivant che a Pescara chiudeva gli allenamenti con lo champagne. “Ah, c’era sempre nel mio frigorifero. Lo portavano i ragazzi con le pizzette. Era un rito di fine giornata, nulla di invasivo. Non è che si ubriacassero. Poi ogni sabato, quando stappavo la bottiglia con i giornalisti dopo la conferenza stampa nel mio spogliatoio, miravo la foto di Casarin. Era un rito. Portava fortuna". Irriverente, forse in carriera ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto, ma non si ha mai o quasi mai tutto dalla vita e nemmeno dal calcio. Citando Almodovar il Gale diceva: “Costa molto essere autentici, ma uno è autentico quanto più assomiglia al sogno o all’idea che aveva di se stesso. E quindi io mi sento abbastanza contento. Essere autentici ha un valore". 

gasp, allegri e... Pasolini

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Ricordava i giocatori più amati, Gasperini, Allegri, Leo Junior, Sliskovic, gli altri che aveva lanciato (ad esempio un Gattuso giovanissimo) e quelli (soprattutto slavi) che aveva visto il giorno prima in tv. Si inteneriva parlando di Gigi Riva che arrivava a Grado a fare le sabbiature con qualche maglietta, due paia di jeans e tante stecche di sigaretta in valigia, e al pensiero di aver chiacchierato di calcio con Capello, ma anche con Pasolini. Amava il mare, la barca a vela e quella moglie che per anni era stata dietro le quinte a sentire le tante storie che giravano sul Galeone Casanova. Adesso, oltre a quel calcio felice, si potrebbero ancora una volta ricordare i suoi pupilli, Allegri che lo considerava un padre calcistico, Gasperini, Giampaolo. Adesso però conta solo il Gale che non c’è più, o che meglio, è passato nella stanza accanto. Probabilmente la sta già arredando a modo suo.

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