Pierantozzi: "Il judo è come l’arte. Il mio monumento è dedicato a Pantani"

10 ore fa 1

La judoka bolognese e la passione per la scultura: "Tutto è cominciato con un viaggio a Olimpia e un sogno". Il suo bozzetto nel 2005 premiato dal comune di Cesenatico

Antonino Morici

Giornalista

17 luglio - 07:40 - MILANO

Forme e proiezioni, tecnica e applicazione. E l’uso delle mani per creare. La vita di Emanuela Pierantozzi segue regole ben precise, che arrivano a unire due mondi lontani: il judo e l’arte figurativa. Se oggi la Nazionale in judogi è una potenza mondiale della disciplina, il merito è anche di Emanuela, per anni un riferimento con le sue due medaglie olimpiche. 

Tra le donne, prima dell’argento a Barcellona 1992, c’era stato solo il bronzo di Alessandra Giungi a Seul quattro anni prima, quando il judo femminile era uno sport dimostrativo. Per Alice Bellandi, Odette Giuffrida e Susy Scutto, le campionesse di oggi, lei è un mito. 

"Atlete pazzesche, le ammiro. La mia epoca era molto diversa anche se abbiamo indubbiamente rotto un muro: non si spunta dal nulla, si sale sulle spalle di chi ci ha preceduti. Anche per me è stato così, avevo 15 anni e guardavo Teresa Motta vincere a Vienna i Mondiali dell’84. Pensavo: “Voglio farlo anche io”. L’oro ai Giochi di Giulia Quintavalle è stato un altro passaggio storico, poi è arrivata Alice a Parigi. L’Olimpiade è speciale, mi spiace solo che la generazione precedente alla mia non l’abbia vissuta. Avevo sognato a 11 anni di esserci: ero in Grecia con i miei per visitare Olimpia e rimasi affascinata dallo stadio, dal museo con le opere di Fidia, da quei marmi meravigliosi. Entri in quei luoghi e ti emozioni. Come all’Olimpiade. Ero solo una ragazzina, si vede che il mio destino era legato a tutto questo". 

E anche all’arte. 

"Sono figlia di un perito chimico con la passione della pittura. Prima delle gare andavamo a vedere una mostra o un museo, frequentare l’accademia delle belle arti è stato uno sbocco naturale. Il mio stile è classico, prediligo la scultura, dove trovo affinità con il mio sport. Sul tatami, come con la materia, serve talento nelle mani e propriocettività. Nel judo devi afferrare l’avversario, sentirne il volume e le tensioni. Cercare la tecnica giusta è come modellare la creta o lavorare il marmo o il legno". 

statua pierantozzi pantani

Una delle sue opere è ben visibile a Cesenatico: il monumento intitolato a Pantani. 

"Era il 2005, mi ero già ritirata dall’agonismo, stavo frequentando l’accademia delle belle arti e decisi quasi per caso di iscrivermi al concorso indetto dal comune. Partecipammo in 72, il mio professore di scultura andò su tutte le furie per l’invidia e mi cacciò dall’aula. Fu una piccola impresa anche quella anche se oggi farei un lavoro con meno errori". 

Perché Pantani? 

"L’arte mi ha permesso di dire la mia su una vicenda umana terribile. Aver potuto fare qualcosa per Marco è stato importante, anche lui è stato vittima di quel clima di caccia alle streghe che ho verificato durante la mia esperienza da rappresentante degli atleti nella commissione antidoping di cui ho fatto parte negli anni Duemila. Durante i controlli venivamo tutti trattati alla stregua dei criminali, non c’era alcuna tutela, eri schiacciato dal sistema". 

Torniamo al judo. Tre partecipazioni ai Giochi e due medaglie. Le è mancato solo l’oro. 

"Purtroppo sono arrivata ai Giochi stanca, ai miei tempi i Mondiali erano ogni due anni, avevo vinto anche gli Europei, viaggiavo al massimo da tre anni di fila. Nel 1991, un anno prima di Barcellona, io e la Giungi avevamo vinto due ori mondiali, Vismara il bronzo, era una squadra strepitosa. Nel 1992 fu un disastro, erano le prime Olimpiadi ufficiali per le donne, c’era uno stress enorme e finii seconda con un dito rotto. Ad Atlanta nel 1996 fu una delusione pazzesca, andai fuori subito contro la tedesca Retkovski che avevo battuto cinque volte in due anni. Ero già arrabbiata prima di gareggiare: volevo la dottoressa Muroni in squadra, una persona competente, e mi era stato negato. In più ebbi una gastroenterite e alla fine volevo mollare tutto. L’occasione giusta l’ho avuta a Barcellona ’92. Arrivavo da due titoli mondiali (1989 e 1991, ndr) e in semifinale superai la tedesca Schreiber, fortissima, con un ippon dopo 9 secondi. Forse il match della vita. Venturelli, il direttore tecnico della Nazionale, mi mandò ai microfoni della Rai per un’intervista prima della finale per l’oro. Persi la concentrazione e vinse la cubana Reve Jimenez, che al mondiale avevo sconfitto. Mi arrabbiai e lo dissi apertamente a Venturelli". 

Per finire Sydney 2000, con il bronzo. 

"Poteva andare meglio perché prima di perdere la strada verso l’oro mi riuscì un piccolo capolavoro contro la giapponese Anno, due volte campionessa mondiale. Mentalmente spesi tutto in quel match, perdendo ai quarti con la belga Rakels. Ci misi un po’ per riprendermi ma nei ripescaggi vinsi il bronzo contro la cubana Luna Diadenys, due volte iridata nei 78 kg. Fu l’ultimo combattimento della mia carriera nei Giochi che ricordiamo tutti anche per l’oro di Maddaloni. Avevamo una squadra fortissima: Pino, Ylenia Scapin, Girolamo Giovinazzo...". 

emanuela pierantozzi judo

Cosa fa oggi? 

"Da vent’anni mi dedico alla docenza e alla ricerca nel campo delle scienze motorie. Sono sempre stata attratta dallo studio di questa materia perché negli anni della crescita, quando ero piccola, ho avuto problemi ortopedici congeniti alle ginocchia. Ho preso il diploma Isef quando ero ancora atleta e oggi sono ricercatrice all’Università di Genova. Erano anni in cui gli atleti non potevano contare sul supporto dei gruppi sportivi militari. Dovevi costruirti un futuro e studiare mi è sempre piaciuto, avevo i libri con me anche da atleta. Ho cominciato a Bologna, la mia città, poi mi sono spostata in Liguria, dove ho completato l’Isef e sono diventata assistente della dottoressa Muroni. C’è sempre un po’ di tatami nelle mie giornate e uno dei progetti a cui tengo di più è “Autismo e judo”, nato nel 2019. Anche questo un segno del destino visto che un nipote autistico...".

Leggi l’intero articolo