Vediamo com'è fatta la De Sanctis Formula 3 sulla quale venne montato, nel 1971, per la prima volta un motore Alfa Romeo di 1.6 litri, cilindrata che ha favorito il rilancio e la crescita della categoria propedeutica per eccellenza nel motorsport. L'abbiamo provata sulla pista di Imola, nel contesto dell'Historic Minardi Day
Eugenio Mosca
2 novembre - 07:58 - IMOLA (BOLOGNA)
Nel panorama automobilistico sportivo la Formula 3 ha incarnato senza dubbio il ruolo di categoria propedeutica per eccellenza, formando fior di campioni che, proprio grazie alla validità e competitività della categoria, spesso hanno potuto effettuare direttamente e con successo il salto nella massima categoria, la Formula 1. La F3 è nata nel 1964 e proseguita con varie formule di successo per quarant'anni prima di essere sostituita da quella attuale che dal 2019 corre in regime di monomarca nel weekend della F1. Da questa categoria sono nati grandi campioni come lo stesso Ayrton Senna e, in epoca più recente e con monoposto decisamente più moderne, Max Verstappen. Ma ce ne sarebbero tanti altri, a cominciare dalla gran parte dei piloti nostrani che negli ultimi 40 anni hanno calcato con continuità le piste del Mondiale di Formula 1: Riccardo Patrese, Bruno Giacomelli, l’indimenticato Michele Alboreto, Ivan Capelli, Pier Luigi Martini e Giancarlo Fisichella, giusto per citarne solo alcuni.
(Tutte le foto sono state realizzate da Luca Martini)
Alti e bassi
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La Formula 3 viene lanciata, come serie nazionale, in Gran Bretagna al termine della Seconda Guerra Mondiale con l'obiettivo di organizzare gare a costi contenuti grazie all'utilizzo di motori di derivazione motociclistica con una cilindrata massima di 500 cc. La prima gara ha avuto il via nel luglio del 1947 su una pista ricavata dall'aeroporto della Raf a Gransden Lodge. Nel 1950 la formula è stata adottata dalla Fia, dimostrandosi un'ottima fucina di talenti, tanto da lanciare futuri campioni come Stirling Moss, Mike Hawthorn e, successivamente, Jackie Stewart e Peter Collins. Tuttavia, a livello internazionale la categoria è stata eclissata dalla Formula Junior, nata in Italia nel 1959 da un'idea del Conte Francesco Lurani con lo stesso intento di realizzare monoposto da corsa a costi contenuti grazie all'utilizzo di motori derivati dalla serie di 1.000 o 1.100 cc, scelta penalizzata da un peso superiore. Ma anche questa, dopo i successivi tre anni di grande spolvero è collassata sempre a causa del vertiginoso aumento dei costi dovuti alla esasperazione nella ricerca di competitività.
Fabbrica di campioni
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È nata così la moderna Formula 3 internazionale, con motori di 1.000 cc derivati dalla serie e costruiti in almeno 1.000 esemplari nel corso di 12 mesi consecutivi, con una flangia di 26 mm tra carburatori e condotti di immissione, abbinati a cambi anch'essi provenienti dalla serie e realizzati anche loro in almeno 1.000 esemplari. Dal 1971 la cilindrata è cresciuta a 1.600 cc, sempre con motori quattro cilindri derivati dalla serie e realizzati però in almeno 5.000 esemplari in 12 mesi consecutivi, con cassoncino di aspirazione dotato di strozzatura di 20 mm, aumentata a 21,5 mm nel 1972, dalla quale deve passare tutta l'aria di alimentazione del motore. Infine, dal 1974 la cilindrata dei motori, con monoblocco e testata derivata dalla serie e prodotti in 5.000 esemplari in 12 mesi consecutivi, è stata portata a 2.0 litri, con cassoncino di aspirazione dotato di flangia da 24 mm, così come è aumentata a 10 pollici la larghezza dei cerchi ruota. In questa configurazione la Formula 3 è diventata la categoria propedeutica di riferimento a livello internazionale, con campionati nazionali e la grande vetrina della serie europea, oltre a eventi singoli di prestigio come le gare di Monaco, disputata il sabato del Gran Premio di Formula 1, e di Macao, dalla quale sono transitati praticamente tutti i campioni poi arrivati in F1.
Orgoglio tricolore
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La Formula Junior ha così centrato in pieno l'obiettivo di dare a ciascuno la possibilità di costruirsi in casa la propria monoposto a costi contenuti, tanto che nei quattro anni in cui la categoria è stata il punto di riferimento a livello internazionale, dal 1959 al 1963, oltre 400 costruttori, di cui più di 50 nostrani, hanno tentato l'avventura. Nomi affermati del motorsport, alcuni impegnati nella massima categoria che hanno realizzato delle piccole serie di monoposto da vendere, ma anche tanti poco conosciuti che si sono costruiti una singola monoposto nella propria officina, se non addirittura nel garage di casa. Tutto questo fermento ha avuto il merito di dare la spinta a numerosi nuovi costruttori e preparatori nostrani per sfidare la tradizionale egemonia inglese, anche nella storica fase di trasformazione delle monoposto con il passaggio del posizionamento del motore da anteriore a posteriore centrale. Alcuni di loro, tra cui De Sanctis, sulla spinta degli ottimi risultati ottenuti nella Formula Junior hanno così affrontato il passaggio alla nuova Formula 3, prima da 1.000 cc e successivamente da 1.600 cc, adattando le proprie monoposto. Inoltre il passaggio alla cilindrata superiore ha caldeggiato l'utilizzo di motori Lancia e Alfa Romeo, in seguito uno dei propulsori di riferimento della categoria.
La prima F3 motorizzata Alfa Romeo
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La monoposto del nostro servizio, infatti, è una F3 De Sanctis realizzata nel 1970 e inizialmente spinta da un motore Ford di 1.000 cc. Il noto preparatore Gianfranco "Wainer" Mantovani, in seguito anche costruttore realizzando una propria monoposto di F3, all'annuncio del cambio regolamentare con l'incremento della cilindrata a 1.600 cc non ha avuto dubbi, iniziando la preparazione di un motore quattro cilindri bialbero Alfa Romeo, all'epoca certamente tra le motorizzazioni all'avanguardia a livello tecnologico. Il preparatore lombardo ha scelto così di partire da un quattro cilindri 1.300 cc rialesato a 82 mm, mantenendo la corsa originale di 75 mm, per ottenere la cilindrata di 1.583,5 cc. Infatti è stato mantenuto l'albero motore originale, opportunamente trattato e bilanciato con il volano, mentre sono state sostituite bielle, pur mantenendo la lunghezza originale, pistoni, valvole e alberi a camme. In questa versione è stato pure montato un impianto di alimentazione a iniezione Lucas, modificata poi la lubrificazione con carter secco. La monoposto del costruttore romano, molto curata nei dettagli, ricalca la tradizionale costruzione dell'epoca, con un telaio a traliccio in tubi tondi e carrozzeria in vetroresina, sospensioni a ruote indipendenti con triangoli inferiori e trapezi superiori con puntoni longitudinali sia all'anteriore che al posteriore, ammortizzatori Koni regolabili con molle coassiali e barre antirollio regolabili. L'impianto frenante è composto da doppie pompe, con bilanciere per la ripartizione della frenata sui due assi, e quattro freni a disco abbinati a pinze Ap Racing, scomponibili all'anteriore, a doppio pompante. La monoposto, con numero di telaio 702, spinta dal primo motore Alfa Romeo 1.600 preparato da Wainer Mantovani per la F3 venne collaudata da Vittorio Brambilla sul circuito Junior di Monza e, visti i buoni riscontri, portata al debutto in gara nel 1970, sempre sulla pista brianzola, da "Gimax", cioè Carlo Virginio Franchi. Il pilota di Pogliano Milanese l'ha poi portata in gara anche nella stagione 1971, con un sesto posto nella prima casalinga di Monza, mentre in altre occasioni, anche nella stagione successiva, ci ha pensato Sandro Cinotti a calarsi nell'abitacolo.
Ritorno in pista
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L'incremento di cilindrata a 2.0 litri per i motori della F3, nel 1974, ha decretato la fine della carriera agonistica della De Sanctis, che tuttavia dopo alcuni anni di sosta è tornata attiva, dopo una revisione completa effettuata da Kaa Racing, in gare ed eventi per auto storiche. Per questo nuovo impegno è stato adottato un motore 1.600 alimentato tramite due carburatori doppio corpo Weber da 48, per limitare le problematiche legate alla messa a punto dell'impianto di iniezione e con lubrificazione in umido con coppa dell'olio ribassata in modo tale da poter alloggiare il motore a un'altezza corretta nella culla del telaio. La preparazione del motore ha seguito la linea del modello precedente, mantenendo l'albero motore originale, trattato con appositi procedimenti di indurimento e bilanciato con il volano, mentre sono state sostituite bielle e pistoni, di tipo racing stampati, valvole e alberi a camme, ottenendo una potenza massima di 145 Cv a 6.500 giri/min. Il motore è abbinato a un cambio Hewland a cinque rapporti con autobloccante.
Alto godimento!
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Girare con una monoposto su una pista come Imola, denominata a suo tempo da Enzo Ferrari "un piccolo Nürburgring", regala sempre un certo piacere, perché il tracciato che si snoda sui saliscendi affacciati sul Santerno propone una varietà di situazioni che consentono di mettere alla prova al completo le doti di una vettura. Dal rettifilo curvilineo dove scaricare la cavalleria alle chicane da pennellare, perché è necessario far scorrere la macchina per uscire veloci, come la Tamburello o la Villeneuve, a quella più chiusa dove saltare sui cordoli per raddrizzare la traiettoria, come la Variante Alta. E poi curve di percorrenza con la macchina che si alleggerisce per lo scollinamento, come la Piratella, oppure va in compressione schiacciata dalla discesa, come la prima delle Acque Minerali o la prima della Rivazza, per finire con la staccata da brivido che precede quest'ultima, dove si arriva in picchiata dopo una veloce semicurva in cui bisogna un po' anticipare per non arrivare a pinzare con la macchina sbilanciata. Insomma, alto godimento! Anche con una monoposto non potentissima e senza carico aerodinamico come la F3 De Sanctis della nostra prova, grazie al peso contenuto di 470 Kg, al baricentro basso e all'assetto giusto. Già pregustando queste intense sensazioni mi calo nell'abitacolo della monoposto romana, tutto sommato abbastanza accogliente, dove con l'aiuto degli appositi cuscini ho cercato di adattare al meglio la posizione di guida, molto importante su una monoposto, date le sollecitazioni. Peraltro, grazie al plexiglass del cockpit, posso godere di un'ottima visibilità, soprattutto sulle ruote anteriori, potendo quindi avere l'esatta percezione una volta in azione di dove stanno passando. Mentre lo sterzo, che richiede un certo sforzo perché privo di servoassistenza, trasmette con precisione quanto sta avvenendo a contatto con l'asfalto. La partenza, una volta fatto il piede con il pedale della frizione piuttosto duro e percepito il punto di stacco, è abbastanza agevole, avendo la precauzione di tenere un po' su di giri il motore. Così come il cambio Hewland si fa apprezzare per la dolcezza nei passaggi di marcia, precisi e rapidi grazie alla limitata corsa della leva, sia in salita di rapporto che in scalata. Purtroppo la rapportatura è un po' lunga per il tracciato emiliano, il che ci costringe a una sorta di compromesso in alcune curve: in particolare alla Tosa e nella secca seconda curva delle Acque Minerali, che peraltro precedono un tratto di pista in salita. Ma qui fortunatamente ci viene in aiuto il generoso bialbero del Biscione che, se mantenuto brillante, mostra una discreta elasticità con una bella spinta che rimane costante salendo rapidamente di giri fino al punto di cambiata, che abbiamo tenuto a 6.500 giri/min. Anche l'assetto si è fatto apprezzare, per la precisione dell'avantreno nel disegnare la traiettoria in ingresso curva e nella percorrenza, unitamente a una buona trazione in accelerazione all'uscita delle curve, così come la frenata, ben bilanciata e potente quanto basta. In definitiva, tutte doti che unite al buon rapporto peso/potenza della F3 De Sanctis-Alfa Romeo 1.600 ci hanno regalato grande divertimento!









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