Il Paese torna a credere nella Coppa del Mondo: qualità, pragmatismo e un cammino ancora pieno di ostacoli. Gattuso ha ridato concretezza, ma servirà molto di più per non rivivere gli incubi del 2017 e del 2022
Il bello viene ora. E speriamo che sia bello davvero, che il Mondiale ci riapra le porte, che non finisca come nel 2017 e nel 2022 quando gli spareggi ci hanno cancellato dal calcio che conta. Ma dovremo ancora soffrire e nemmeno poco, perché la qualificazione — a meno di clamorosi e inattesi regali della Norvegia — passerà attraverso i playoff da giocare a marzo: prima la semifinale e poi (speriamo) la finale, insomma un percorso tortuoso, ricco di insidie, nel quale non potremo sbagliare nulla. Troveremo avversari più deboli di noi — sicuramente nella prima gara, probabilmente pure nella seconda che però potremmo anche disputare in trasferta — ma per batterli dovremo essere bravi, migliori di come lo siamo stati in queste qualificazioni e anche ieri contro Israele nonostante il risultato alla fine sia stato un largo tre a zero. L’America ci aspetta, però dobbiamo essere noi a prendercela: anche la Russia e il Qatar erano lì, a braccia aperte in attesa della Nazionale azzurra, ma non l’hanno mai vista arrivare. L’ultima partita che abbiamo giocato nella fase finale di un Mondiale è lontana oltre undici anni. Sostenere che sono troppi è perfino banale.
guardare ai playoff
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Il bello viene ora. Quanto abbiamo fatto fino a questo momento è il minimo che ci potessimo aspettare: nel girone eliminatorio abbiamo battuto tutte le squadre nettamente inferiori a noi che abbiamo incontrato, in qualche caso con molta fatica (il 5-4 con Israele nella gara d’andata rimane nella memoria di tutti); siamo stati invece travolti dall’unica rivale forte capitata sul nostro cammino, la Norvegia. In realtà l’aritmetica ci consegna ancora una piccola, piccolissima speranza di conquistare la qualificazione diretta, ma dovremmo confidare in un passo falso della nazionale di Haaland in casa contro l’Estonia a novembre; a quel punto, se vincessimo in Moldova e poi contro la stessa Norvegia, saremmo primi e qualificati. Ma si tratta, appunto, di una possibilità teorica, praticamente irrealizzabile. E allora diventa inevitabile guardare ai playoff, ai rischi che possiamo correre: in semifinale rischiamo di trovarci davanti i fantasmi del passato, perché potrebbe incrociare la nostra strada una tra Svezia e Macedonia del Nord; in finale potremmo dover andare in Scozia o in Slovacchia, in Albania o in Ungheria (sarà il sorteggio a decidere chi giocherà in casa), e non sarà affatto facile vincere da quelle parti.
il segnale dall'attacco
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Il bello viene ora. Ci arriviamo con un sorriso largo così, perché le ultime due gare ci hanno inviato qualche buon segnale soprattutto in attacco. In Estonia hanno segnato tutti e e tre i nostri centravanti, Kean, Retegui e soprattutto Esposito, il nuovo Vieri; contro Israele è stato l’italo-argentino a prendersi la squadra sulle spalle perché ha preso un rigore e l’ha trasformato, quindi ha chiuso la sfida con una rete meravigliosa (se n’è invece divorata una Pio, capita). Ma quel nostro sorriso sarebbe esagerato se non tenessimo conto di quanto sia stato importante Donnarumma sia sullo zero a zero, sia quando eravamo avanti di un gol. Segnali che la fase difensiva va risistemata.
ottimismo
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Il bello viene ora. E anche se di questa Nazionale non ci fidiamo più — troppo pesanti le delusioni vissute negli ultimi anni, con l’eccezione dell’Europeo 2021 — dobbiamo partire da una base di ottimismo. Cosa lo determina? La convinzione che l’Italia abbia comunque un gruppo pieno di calciatori buoni o anche ottimi. Pensateci: Donnarumma è forse il miglior portiere del mondo, Bastoni e Calafiori sono difensori di livello internazionale, Barella e Tonali restano tra i più forti centrocampisti d’Europa e in attacco adesso abbiamo diverse soluzioni eccellenti. E poi abbiamo tanti calciatori di buon livello a completare il gruppo, Dimarco e Politano, Di Lorenzo e Mancini in attesa di Buongiorno e Scalvini. Insomma: non siamo grandi come in tanti periodi passati, ma nemmeno piccoli come a volte ci piace dire (e come a volte dicono anche i risultati). Gattuso ha portato normalità e concretezza, sta facendo cose semplici, con logica. L’idea di schierare il doppio centravanti, ad esempio, è di un pragmatismo ammirevole: in questo momento non ha esterni che diano garanzie né trequartisti di alto livello, e allora punta tutto su chi è abituato a stare in mezzo all’area e ha segnato tanto nelle ultime stagioni, vale a dire Kean e Retegui (e in alternativa Raspadori e l’ultimo arrivato Esposito). Il buon senso al servizio della Nazionale. Speriamo che sia sufficiente.