La ritrovata serenità, il mental coach, l'allenamento, e il foulard annodato sul capo in occasione della maratona europea...
Iliass Aouani ha vinto la maratona europea con grande freddezza e lucidità, senza sbagliare nulla, rimanendo concentrato sull’obiettivo dall’inizio alla fine. Il segreto? L’allenamento fisico, l’attenzione maniacale alla nutrizione, zero distrazioni, e soprattutto il mental coach che, dice, “mi ha dato gli strumenti per presentarmi alla gara sicuro dei miei mezzi, tranquillo, senza l’ansia che ti fa performare male”.
Lo abbiamo raggiunto nella città dove è tornato a vivere e allenarsi, a Ferrara, dopo una parentesi di alcuni mesi al Tuscany Camp, per sapere tutto della splendida vittoria azzurra.

Te lo sentivi che sarebbe stato il tuo giorno?
“Sì, lo sapevo perché mi sono svegliato molto tranquillo, sereno; ho scritto un messaggio al mio mental coach, Stefano Tavoletti, che diceva: 'Questo sarà un grande giorno, sono in pace con quello che ho dentro, pronto per la battaglia con quello che c’è fuori'”.
Parliamo della maratona, come l’hai condotta?
“La gara l’ho condotta risparmiando energie, per essere pronto e lucido nella parte finale della competizione. Quindi sono rimasto coperto, ho cercato di muovermi con pazienza, senza fare nessuna azione che mi sarebbe costata cara, studiando gli avversari, tenendo d’occhio quelli più temibili, restando concentrato, pronto a dare il massimo negli ultimi chilometri”.
Al 37 km hai provato a “strappare” ma poi hai desistito.
“Ho provato a strappare e sarei riuscito ad andare via, ma probabilmente avrei vinto facendo più fatica, mi sarebbe costato di più perché gli altri avversari non erano così stanchi al punto da poterli staccare in quel momento. C’era il rischio di fare da lepre, quindi ho accettato l’idea di restare con loro, che è un atto di coraggio, e di giocarmi la maratona in volata all’ultimo chilometro”.
La differenza l’hai fatta negli ultimi cinquecento metri.
“L’atleta israeliano ha provato a staccarmi, io sono rimasto in scia cercando di correre il più rilassato possibile, perché cinquecento metri sono tanti, uno sprint di tale lunghezza è più di un minuto di corsa. Lui probabilmente ha dato troppo, troppo presto e non è riuscito a tenere il ritmo per gli ultimi duecento metri, i metri cruciali della gara”.
Una vittoria in volata.
“Raramente ho vinto gare in volata, solitamente sono il tipo da progressione lunga, però la volata non le vince il più veloce, ma chi si presenta alla fine più fresco e meno stanco. Perché le velocità che riesci a esprimere non è elevatissima, e se riesci a cambiare il ritmo significa che hai una marcia in più”.
Ti sei dimostrato il più fresco di tutti.
“Anche visivamente ero quello "stilisticamente" più composto, indice di grande controllo dell’azione meccanica. Le persone che assistevano alla gara si chiedeva perché non stessi “partendo”, io non sapevo esattamente quanto mancasse al traguardo, e quando ho capito che restavano cinquecento metri sono partito ed è andata com’è andata”.
Com’era il tracciato dal punto di vista tecnico?
“Ci sarà stato un totale cumulativamente di 1-2 km di reale piatto, perché era fatto tutto di saliscendi. Un percorso muscolarmente molto impegnativo; nell’ultimo quarto avevo un po’ di dolore ai quadricipiti. Soffro tanto la discesa, è abbastanza traumatica, e la gara andava interpretata anche per questo motivo. Fare azioni velleitarie su un percorso così significava andare incontro a un suicidio, quindi bisognava andare molto cauti”.
Hai corso maratona europea sempre con il durag (il foulard annodato in testa, ndr), come mai?
“L’idea di portare il durag è nata totalmente per gioco, con gli amici, e con loro ho deciso di che sarebbe diventato il mio segno distintivo. Quindi al durag abbiamo voluto associare un significato: quando lo metto sono pronto a correre forte, e gli avversari mi devono temere”.
Come è stato il tuo allenamento pre maratona europa?
“Mi sono allenato a Ferrara perché le condizioni climatiche nel mese di marzo erano molto buone, in particolare in questo ciclo di preparazione ho dato molto risalto al volume dei chilometri, facendo anche 240-250 a settimana. Ho lavorato poi bene in palestra, e ho curato i dettagli che vanno al di là dell’allenamento, quindi focus su alimentazione, e ho eliminato tutte le distrazioni in generale. Poi il lavoro col mental coach, con cui ho iniziato a lavorare dallo scorso ottobre, è stato fondamentale. La parte mentale, soprattutto in una disciplina come la maratona, in cui per due ore sei bombardato da distrazioni, stimoli esterni e interferenze, è molto importante. Per restare tranquillo e rilassato, impassibile di fronte a ciò che accade fuori”.

Sei riuscito a pensare solo al qui e ora.
“Questa maratona per me è importante perché ho dimostrato a me stesso che so muovermi tatticamente in maniera impeccabile, so mantenere una freddezza da killer tutto il tempo, anche quando l’atleta israeliano ha staccato al ventesimo chilometro, l’ho lasciato andare. Anche quando i due israeliani facevano gioco di squadra e appositamente rallentavano nelle discese per fare rientrare i loro compagni di team. Un Iliass più immaturo sarebbe andato all’inseguimento, avrebbe fatto azioni molto impulsive che gli sarebbero costate tanto, mentre ora sono stato freddo fino alla fine”.
Possiamo dire che questa è la vittoria più bella di sempre?
“È la vittoria più bella della mia carriera, vincere un oro europeo significa tantissimo. In pochi in Italia ci sono riusciti, e io mi aggiungo a Bordin, Baldini e Meucci, che nella storia dell’atletica italiana sono nomi molto importanti. Sesto titolo europeo e quarto italiano ad esserci riuscito”.
Una vittoria che ha lenito la delusione per la mancata convocazione alle Olimpiadi di Parigi.
“Quella delusione ha acceso in me la miccia di cui avevo bisogno, la voglia di riscatto, di dimostrare a me stesso di essere un atleta di livello mondiale. Forse la mancata convocazione è stata un bene perché mi ha dato quella motivazione di cui avevo bisogno per fare meglio”.
Un successo ottenuto anche grazie a una ritrovata serenità, frutto di un ritorno “alle origini”.
“Sono tornato da Massimo Magnani perché ho realizzato che Ferrara è casa mia. Lo scorso anno ho passato dei mesi molto brutti, in cui mi sono reso conto quali sono le persone che realmente tengono a me, coloro che vogliono il mio bene, e quindi ho deciso di riprendere il cammino con il mio storico allenatore, creando un rapporto rinnovato, ancora migliore del precedente”.
Chiudiamo con il tuo prossimo grande obiettivo.
“I Mondiali di Tokyo in programma il prossimo 15 settembre. Siamo già stati convocati io, Crippa, e Chiappinelli. Naturalmente ci saranno degli appuntamenti intermedi che ancora devo pianificare insieme al coach, gare su strada o in pista, tutte finalizzate al grande obiettivo”.