(di Luciano Fioramonti)
"Che cosa è successo alla terra delle
libertà?". Laurie Anderson, grande performer con lo sguardo
sempre avanti nelle sperimentazioni, è andata giù dura nel
chiamare in causa l'attuale leadership americana come
espressione lampante di un mondo che sembra aver perso la
bussola. Sola con il suo violino elettrico, una tastiera e i
dispositivi per controllare le basi musicali registrate,
l'artista di Chicago ha tessuto una tela suggestiva di parole,
suoni e melodie che ha incantato il pubblico accorso nel parco
dell'Accademia Tedesca, a Roma, per la prima italiana della sua
Republic of Love.
Anderson è stata ospite di 'Sempre più fuori', il festival
multidisciplinare di teatro, musica, danza, cinema, letteratura,
arte, fotografia, ma tornerà nella capitale il 3 novembre per un
concerto con la band newyorkese Sexmob nella Sala Santa Cecilia
dell'Auditorium Parco della Musica per il Romaeuropa Festival.
In pochi istanti la musicista, 78 anni, icona della scena
d'avanguardia newyorkese, ha saputo creare e mantenere senza
cedimenti per due ore un'atmosfera sospesa, la voce a raccontare
storie personali e riflessioni collettive, mentre sullo sfondo
dominava l'immagine plumbea di una città su cui cadeva una
nevicata di lettere dell'alfabeto.
"Le parole possono cambiarti la vita", ha rimarcato durante
il suo discorso-performance tradotto dai sottotitoli in
italiano, ricordando che il governo americano ha imposto ai
funzionari la cancellazione dai documenti di decine e decine di
parole sgradite che riguardano la nazionalità, il sesso, le
tematiche ambientali, l'orientamento politico e sociale. "Se non
puoi definire una cosa, con il tempo scomparirà", ha osservato
parlando degli Usa "in stato di caos" dove ogni quarto d'ora una
nuova legge corregge o cambia la precedente. I leader di destra
vengono associati a un "fascismo della fine dei tempi" rispetto
agli anni Trenta quando era animato dall'ideologia.
Anderson ha preso in prestito la citazione "la verità non
sempre è bella, ma la fame di verità sì" e ha raccontato quando
da giovanissima voleva candidarsi per entrare nel collegio
studentesco e scrisse all'allora senatore John Kennedy per avere
consigli sulla campagna elettorale. Kennedy le rispose
raccomandandosi in particolare di non promettere cose che non
avrebbe potuto mantenere. "Gli scrissi scusandomi del ritardo,
ma ero molto impegnata perchè ero stata eletta" e per tutta
risposta il futuro presidente degli Stati Uniti le inviò una
lettera di congratulazioni e dodici rose rosse.
Sullo schermo alle sue spalle è apparsa la frase "Aspiro a
un'America che non abbia paura della grazia e della bellezza"
che Kennedy pronunciò nell'ottobre 1963, poche settimane prima
di essere ucciso a Dallas. Ha citato Mark Fisher - "È più facile
immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo" - e ha
fatto entrare nella sua lente di ingrandimento il mercato e il
denaro come "motore del mondo", la tecnocrazia che governa, il
clima che crolla, le morsa delle strutture strutture
socio-economiche. L'attenzione si è spostata poi sull'amore,
anche con la lettura di una poesia di Allen Ginsberg, Song
(Canzone), che comincia con il verso 'Il peso del mondo è amore'
e invita a dare senza aspettarsi di ricevere.
In un mondo cupo e apparentemente senza spiragli, Laurie
Anderson indica una possibile via d'uscita nel legame tra l'arte
e la creatività con le città "come punto di unione", ricordando,
infine, il marito Lou Reed, morto nel 2013, e il suo libro 'Il
mio Thai Chi'. E in maniera inaspettata, quando lo spettacolo
stava per concludersi, ha invitato il pubblico ad alzarsi in
piedi e a ripetere con lei i movimenti fluidi e armoniosi della
antica arte marziale cinese. Finalmente, la tensione che aveva
sorretto il suo monologo intenso e coinvolgente si è stemperata
tra i sorrisi e un lungo applauso.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA