Una Ferrari F40 in officina non è un'auto, è una reliquia. Tra serbatoi che costano più di un'utilitaria e un V8 biturbo che vibra come un cuore in apnea, la manutenzione diventa un rito sacro. Un viaggio dentro l'anima dell'ultima Ferrari voluta da Enzo in persona, dove ogni vite racconta una storia di coraggio, ingegno e follia meccanica
Ci sono macchine belle, macchine veloci e poi c'è la Ferrari F40. L'ultima nata sotto lo sguardo di Enzo Ferrari, l'ultimo sì di un uomo che costruiva sogni su quattro ruote. In officina arriva come un'opera d'arte da maneggiare con i guanti, ma oggi non si contempla: si smonta. Sotto il cofano, o meglio, sotto la cappa in carbonio e kevlar, vive un cuore da 2.936 cc, un V8 biturbo da 478 cavalli per appena 1.100 chili. Numeri che nel 1987 erano pura fantascienza e che oggi, nel 2025, fanno ancora tremare i polsi. La F40 è figlia della 288 Gto Evoluzione, ma soprattutto dell'ingegno di Nicola Materazzi, un uomo capace di progettare di notte ciò che il mondo avrebbe chiamato leggenda di giorno. Ci ha messo tredici mesi per dare forma a un sogno che sembra ancora oggi un esperimento di fisica applicata. Dario Galbusera, lo specialista dell'officina Caramba, la guarda come un medico davanti al paziente più importante della carriera. Ogni bullone ha un valore, ogni errore ha il prezzo di una casa. Perché qui, tra ponte sollevatore e chiavi dinamometriche, l'odore di benzina si mescola con quello del rispetto.
1 Anatomia di un mito
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"Attenzione, Ocio Dario, qui spettacolo!". Quando una F40 sale sul ponte, anche il silenzio si fa educato. Tutto inizia da un gesto semplice: togliere i filtri dell'aria. Quattro viti, niente elettronica, solo meccanica pura. Eppure, in quella semplicità c'è la genialità Ferrari: ogni componente è a portata di mano, tutto è pensato per funzionare, non per stupire. I filtri sono di carta, come su una normale utilitaria, ma qui proteggono un motore che vale milioni, un biturbo che respira aria come un atleta prima della gara. Il filtro si esamina come un reperto: se è pulito, colore giusto, niente detriti, allora può restare. "Questo funziona ancora benissimo", sostiene Dario, soffiando via la polvere come un archeologo che pulisce un'anfora etrusca. Poi arriva il momento delle candele. "Non è una passeggiata", confessa lui, mentre smonta mezzo vano motore per arrivarci. Nella F40 ogni candela è un test di precisione: se il colore è nocciola, il motore brucia bene; se è bianca, significa guai all'orizzonte. Qui, per fortuna, tutto perfetto. "Potremmo anche non cambiarle, ma con una F40 non si risparmia", sorride. E ha ragione: su una macchina così, anche l'avarizia è un difetto di carburazione.
2 Optional da 1987, che oggi fanno scuola
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Tra i tubi e le viti, un dettaglio cattura l'occhio: un piccolo raccordo sull'ammortizzatore posteriore. È la firma di un optional rarissimo nel 1987, qualcosa che oggi si chiama lift system, ma allora era un'invenzione da marziani. Serve per alzare la macchina a bassa velocità, quando bisogna affrontare un dosso o entrare in un garage senza piangere. Funziona con una pompa elettrica che spinge olio nell'ammortizzatore, riducendo il precarico della molla. Due step di altezza: uno medio, uno massimo. E quando si superano i 70 km/h, la F40 torna giù da sola, piatta, bassa, pronta a mordere l'asfalto. È un dettaglio che racconta l'anima della F40: una macchina nata per correre, ma con un pizzico di civiltà. Nonostante la leggerezza, la rumorosità e l'assenza di comfort, questa Ferrari è più intelligente di quanto sembri. L'artigianalità emerge ovunque ma tutto ha una logica e la logica è la prestazione. La F40 è così: o la capisci o ti spaventa. E forse è proprio questo il suo fascino eterno.
3 Serbatoi, fuoco e altri dolori
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"Ogni cinque anni i serbatoi vanno sostituiti o ricondizionati". Detto così sembra un consiglio banale, ma su una F40 significa una fattura da 7.500 euro. Se invece ci si affida direttamente a Ferrari, si può arrivare a 40.000 euro! Sì, perché la F40 non perdona. È un'auto che chiede manutenzione continua, attenzione maniacale e un portafoglio che non conosce paura. I tubi benzina devono essere controllati ogni 10.000 km e non è una precauzione esagerata: capita che prendano fuoco, letteralmente, per una manutenzione sbagliata o saltata. La leggenda è fatta anche di questi rischi. La verità è che possedere una F40 non è solo un privilegio: è una responsabilità tecnica ed emotiva. È un'auto che costringe a rispettare la meccanica, a non dare nulla per scontato. Ogni rumore, ogni odore, ogni vibrazione va ascoltata come una voce. E chi si lamenta delle spese, beh… che resti con le macchine moderne, quelle che non parlano più.
4 Il rito finale
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Il cambio dell'olio su una F40 non è un'operazione: è una liturgia. In una macchina "normale", si alza l'auto, si svita il tappo, si lascia colare l'olio e si cambia il filtro. Qui no. Qui ci vogliono calma, precisione e soprattutto timore reverenziale. Il filtro è sopra, grande come un panettone, e il motore beve 9 litri di 10W60 Racing: roba per veri atleti. Quando l'olio nuovo scende nel cuore del V8, è come se la macchina respirasse di nuovo, pronta a ruggire con quella voce metallica e tagliente che ha fatto sognare generazioni. Alla fine, in officina cala un silenzio strano, quello che precede le grandi emozioni. Dario chiude la valigetta, si asciuga le mani, poi gira la chiave. Un click, un respiro e il V8 biturbo si sveglia di colpo. Il rombo esplode nella stanza come un tuono compresso: secco, metallico, un urlo che entra nelle ossa. L'aria vibra, le pareti tremano, e per un attimo sembra di essere tornati a Maranello, nel 1987, quando il mito prendeva forma. La F40 non suona: grida. Ogni scoppio è una parola, ogni colpo di gas un ricordo. È un suono che non si dimentica, quello che ti fa capire che i cavalli non vivono solo nei numeri, ma nel petto.