In Italia l’attenzione sul tema della violenza contro le donne è in costante crescita anche per l'ondata drammatica dei tanti femminicidi che vengono commessi ma permangono ancora zone d’ombra su come e dove chiedere sostegno. Nonostante l’esistenza di strumenti e luoghi dedicati – come il numero verde nazionale antiviolenza e stalking 1522 e i Centri antiviolenza (CAV) – il livello di informazione su questi servizi risultano ancora parziali. In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne,, il 25 novembre Ogilvy presenta i risultati di una indagine che ha coinvolto voci femminili da tutto il territorio nazionale, includendo figure chiave di diversi Centri Antiviolenza, con l’obiettivo di restituire non solo una fotografia aggiornata delle percezioni, dei bisogni e delle barriere informative sui percorsi di consapevolezza, aiuto e protezione dalla violenza, ma anche riflessioni strategiche di comunicazione.
Sul fronte dell’informazione, i segnali restano contrastanti. Da un lato, si registrano progressi importanti: tra il 2023 e il 2024, infatti, le segnalazioni al 1522 sono aumentate del 26%, così come la conoscenza del servizio (+52%). Risultati incoraggianti ottenuti anche da una maggiore presenza di campagne di comunicazione mirate e dall’attenzione ai casi di cronaca. Dall’altro lato, tuttavia, persistono profonde lacune informative: il 65% del campione non sa cosa sia il 1522, e tra le donne, quasi la metà (45%) ne è ignara.
Come contattare il numero e in quali situazioni? È necessaria una riflessione profonda sui risultati emersi: anche se il 70% delle persone è in grado di individuare almeno una situazione corretta in cui utilizzarlo – come subire violenza fisica o psicologica, trovarsi in pericolo o essere vittima di violenza domestica – questo utilizzo resta circoscritto a contesti emergenziali. Il 53% delle donne, infatti, percepisce il 1522 come un numero da chiamare solo in casi estremi e non come uno spazio di ascolto, prevenzione e orientamento in grado di fornire un percorso di aiuto completo.
A conferma di ciò, i dati dimostrano come anche la conoscenza dei Centri antiviolenza risulti frammentaria: il 67% delle donne dichiara di avere informazioni insufficienti sul loro funzionamento e sui servizi offerti, e sebbene 6 persone su 10 sappiano che i CAV garantiscono ascolto e consulenza gratuita, pochi sanno concretamente come, quando e in quali situazioni rivolgersi a loro. Solo il 39% del campione riconosce che i Centri si occupano anche di violenza psicologica, economica o digitale, la maggioranza continua a pensare che servano solo a chi subisce violenza fisica.
Questi dati raccontano un’informazione parziale o superficiale sui servizi offerti dal 1522 e dai Centri antiviolenza. Eppure, il sistema a supporto delle donne per la fuoriuscita dalla violenza è molto di più: si tratta di una rete di professioniste pronte ad accogliere ogni storia, costruendo percorsi personalizzati di libertà e autodeterminazione. Come spiegano dal CAV Casa Pandora Margherita Ferro di Genova: “Il centro antiviolenza è uno spazio di libertà e di pensiero, uno spazio per prendersi tempo per riflettere”. Una libertà che nasce dal rispetto dei tempi e delle scelte di ciascuna. “Sarebbe controproducente prendere il controllo delle decisioni di una donna che fino a quel momento è stata controllata” racconta un’operatrice del Telefono Rosa. “Non è un impegno irreversibile: puoi venire, parlare e poi decidere tu. Nessuno sceglie al posto tuo”. In questa prospettiva, il Centro antiviolenza non è un luogo di obblighi, ma uno spazio di riflessione e rinascita come ribadito nel dialogo con il Telefono Rosa.
Fondamentale, in ogni percorso, è la consapevolezza. Molte donne non si percepiscono come vittime di violenza, soprattutto in assenza di segni fisici. Per questo “bisognerebbe mettere in luce tutte le forme di violenza e anche la possibilità di parlare con qualcuno anche solo in caso di dubbio”, sottolinea una fonte del CADMI – Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate. Inoltre, spesso la violenza viene minimizzata, tanto che le donne possono arrivare a chiedere, quando si rivolgono a noi: “non so se sto chiamando il posto giusto. Non so se quello che vivo è abbastanza grave da essere considerato violenza”.
La ricerca di Ogilvy vuole mettere in luce proprio questo cortocircuito tra ciò che si conosce sul 1522, i CAV e i servizi offerti alle donne in difficoltà e il loro effettivo utilizzo. In questo scenario, risulta fondamentale continuare a promuovere un’informazione corretta sul tema e sui mezzi di supporto disponibili, affinché non vengano attivati solo in situazioni emergenziali ma sostengano un percorso graduale di consapevolezza, protezione e rinascita dalla violenza, nel rispetto dei tempi e delle scelte di ciascuna donna. La loro efficacia, infatti, non dipende solo dalla visibilità, ma anche dalla capacità di tradurre l’informazione in fiducia e la fiducia in accesso reale ai percorsi di libertà. Promuovere iniziative volte a sensibilizzare il pubblico su temi di grande rilevanza e a valorizzare il ruolo fondamentale della comunicazione nel diffondere consapevolezza e stimolare il cambiamento è un passo importante.
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