Candela: "Litigavo con tutti, ma con Zeman di più. Totti meritava il Pallone d'oro, ma..."

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L'ex terzino francese: "Iniziai male anche con Capello, poi nacque un rapporto favoloso. Vincere il Mondiale 1998 con la Nazionale un sogno. Il mio rimpianto? Aver lasciato la Roma"

Furio Zara

Collaboratore

29 luglio - 07:59 - MILANO

Vincent Candela da ragazzo giocava a rugby. "Per cinque anni, quando stavo nelle giovanili del Tolosa, che in Francia è la città del rugby. Andavo ad allenarmi con i miei amici rugbisti e intanto giocavo a calcio. Non c’è nessuno sport che ti insegni quella fratellanza, quello spirito di squadra, quell’idea di gruppo: sono insegnamenti che ho portato con me". 

In che senso? 

"In Nazionale sono stato per otto anni la riserva di Lizarazu, ma mi sono sentito sempre importante. Così alla Roma consideravo fondamentali i compagni che magari giocavano poco, come Di Francesco, Rinaldi, Mangone, Nakata, Lupatelli nell’anno dello scudetto". 

Che famiglia era la sua? 

"Sono originario dell’Occitania, nel sud della Francia. Mia mamma lavorava in una pasticceria, mio papà come magazziniere. Lei di origini italiane, di cognome Merino. Lui invece con ascendenze spagnole. È stato mio papà a insegnarmi a giocare a calcio. Tifavo per l’Olympique Marsiglia, i miei idoli erano Bolì e Chris Waddle. Fino a undici anni giocavo centravanti, facevo tantissimi gol, poi mi hanno spostato a centrocampo e infine terzino... (ride) Lì finiscono quelli meno bravi". 

A ventiquattro anni era alla Roma. 

"La squadra della mia vita. Ho passato otto stagioni, le migliori. A Roma ci sono rimasto a vivere, i miei figli, due maschi e due femmine, sono nati qua. Ormai sono trent’anni che sto a Roma, ora che ci penso: ho passato più tempo in Italia che in Francia". 

Lei ha giocato con Totti e Zidane, i due numeri 10 più straordinari della loro epoca. Li fotografi. 

"Premessa: sono due amici. Francesco aveva una velocità di pensiero strabiliante, un dono di Dio. Ci capivamo al volo: prima ancora che gli arrivasse il pallone, dalla postura del corpo, sapevo dove avrebbe calciato. Forse avrebbe meritato il Pallone d’Oro, all’inizio del 2000, tra l’Europeo con l’Italia - che perse contro di noi in finale - e lo scudetto con la Roma. Calciava con una facilità unica e segnava molto, più di Zidane. Zizou? È stato il Calcio. Credo sia stato il calciatore più elegante mai visto sulla faccia della terra. Aveva il fisico di un gladiatore, ma si muoveva come un ballerino".

Con Zeman lei litigava un giorno sì e l’altro pure. 

(Ride) "Ho litigato con tutti, ma con Zeman di più. Ero giovane: non capivo i gradoni, le corse senza il pallone. Ma ho stima nei suoi confronti, è stato un grande allenatore. E mi ha insegnato il senso del sacrificio, la disciplina". 

Com’era il rapporto con Capello? 

"Era un generale, all’inizio i compagni avevano tutti paura. Pure con lui tanti litigi all’inizio, quell’estate stavo per andare all’Inter, poi rimasi a Roma e insieme abbiamo costruito un rapporto favoloso. Ho bei ricordi anche di Galeone e Cosmi, a Udine. E mi sono divertito come un matto nei sei mesi al Bolton, quando lasciai la Roma. L’allenatore era Sam Allardyce, che tipo. Ci diceva: 'A me basta che voi vi alleniate il giovedì, venerdì rifinitura e sabato partita'. Una pacchia. C’erano Diouf e Fadiga, N’Gotty e il grande Jay Jay Okocha. Siamo arrivati sesti, in Premier, neanche male, no?". 

Il momento più bello e il rimpianto della sua carriera. 

"Ho cominciato a giocare a pallone a cinque anni, sognavo di diventare un maestro di qualche sport. Non avrei immaginato di fare il percorso che ho fatto. Quando nel 1998 ho vinto il Mondiale con la Francia mi sono sentito realizzato. Alzare la coppa del mondo, lì, nel mio paese, davanti alla mia gente: un sogno. Il rimpianto è stato quello di aver lasciato la Roma, avrei potuto ragionare con più lucidità, magari mettere al servizio la mia esperienza. Ma sono fatto così, decido d’istinto e non amo le sfumature". 

La Roma non ha più avuto una coppia di terzini come Cafu e Candela. 

"Due campioni del mondo, mica facile. Cafu è stato il più grande terzino destro del mondo nella storia del calcio recente. Io no, però la mia parte l’ho sempre fatta. Quando attaccava Cafu era irresistibile, diciamo che ogni tanto si dimenticava di difendere". 

Lei a fare l’allenatore ci ha mai pensato? 

"Troppa fatica (ride): quello è un lavoro serio, non fa per me. Magari fare lavorare come terzo, quarto, anche ottavo in uno staff, ma primo allenatore no grazie". 

Lei è uno che ride molto, vero? 

"Sì, è il mio modo di stare al mondo. Dieci giorni fa scherzavamo sulla chat dei miei ex compagni di nazionale . Thuram ha scritto: 'Vincent, sei sempre lì che ridi, ma a qualcuno stai sulle palle o sei simpatico a tutti?'. Cerco di essere felice, anche se come tutti anch’io ho avuto momenti di buio e di debolezza. Noi calciatori quando smettiamo con l’attività agonistica ci sentiamo persi, capita che non sappiamo più cosa fare. Abbiamo una corazza, recitiamo un ruolo per tanti anni. Ok, va bene, e poi? Queste sono le domande da farsi. Una volta tolta la maschera, conta l’uomo che c’è dietro". 

Nel suo profilo whatsapp c’è questa frase: 'Sono in viaggio verso la migliore versione di me stesso'. Vincent Candela, a che punto è del viaggio? 

"A ottobre faccio cinquantadue anni, sono ancora in viaggio e l’orizzonte è lontano. Non si finisce mai di imparare. Conta l’uomo dietro la maschera e io voglio saperne ogni giorno un po’ di più su me stesso".

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