La probabilità che l'eruzione attesa nell'area dei Campi Flegrei, in provincia di Napoli, sia potente e distruttiva come quella dell'"Ignimbrite Campana", avvenuta 39mila anni fa e capace di depositare colate di lava fino a 80 km di distanza, è bassa. Eppure il magma, dicono gli esperti, prima o poi uscirà dalle viscere della terra: ecco perché gli abitanti dell'area devono prepararsi a lasciare le proprie case. Per capire come fronteggiare una possibile emergenza vulcanica e i tanti terremoti che da sempre scuotono l'area abbiamo parlato con Antonella Scalzo, geologa e funzionaria che lavora nell'ufficio di gestione dell'emergenza e pianificazione presso la Protezione Civile a Roma.
L'articolo prosegue dopo l'infografica qui sotto
Emergenza bradisismo. «L'emergenza più immediata è quella del bradisismo, ovvero il sollevamento del suolo che causa danni agli edifici», spiega Scalzo a Focus.it. «In questo caso, dato che i terremoti non si possono prevedere, ma se ne possono solo constatare gli effetti, esistono tre scenari operativi: il primo, con danni limitati per estensione e gravità, che è quanto si è verificato di recente (con la scossa di magnitudo 4.6 della scala Richter lo scorso 13 marzo, ndr.), prevede un intervento di aiuto ai cittadini a livello territoriale, da parte dei Comuni e della Prefettura, mentre il secondo scenario, in cui l'emergenza riguarda danneggiamenti più severi in porzioni più ampie del territorio, può arrivare a coinvolgere l'aiuto da parte della Regione Campania. Nel caso del terzo scenario, quando la sismicità crea un impatto notevole sui servizi di base ai cittadini, (e nel caso in cui si verifichino crolli in vari Comuni dei Campi Flegrei, ndr.), si verifica il livello di gravità massimo e interviene la Protezione Civile nazionale, che segue comunque tutta l'evoluzione dei terremoti e opera insieme alle altre istituzioni in regime di sussidiarietà».
La collaborazione dei cittadini. La gestione diventa un problema soprattutto quando le persone, spaventate dal terremoto, vogliono dormire fuori casa o, quando l'edificio in cui abitano viene dichiarato inagibile a causa dei danni strutturali subiti. «In questi casi i cittadini devono seguire quanto previsto nel piano di protezione civile comunale, che invita le persone a recarsi nelle aree di attesa (come l'ex base Nato di Bagnoli), dove riceveranno supporto e sarà indicato loro come raggiungere le strutture messe a disposizione dai Comuni e dalla Regione Campania, come ad esempio i tanti alberghi con cui sono state stipulate apposite convenzioni».
Quanto sono vulnerabili gli edifici? Anche se gli scienziati hanno dichiarato che nei Campi Flegrei è atteso come massimo evento possibile un terremoto di magnitudo 5 della scala Richter (il cui punto di massima energia sprigionata equivale a 9), un evento del genere potrebbe provocare numerosi crolli.
Aiuti online. Naturalmente un modo di sapere se il proprio appartamento o la villetta in cui si abita è poco o molto vulnerabile agli scossoni e innalzamenti del suolo esiste: anzitutto la Protezione Civile ha creato una Mappa di vulnerabilità del territorio più a rischio, dividendo l'area in celle di 250x250 metri, e stimando statisticamente e probabilisticamente in base a parametri come i materiali di costruzione usati, il periodo di costruzione e lo stato di conservazione, il grado di rischio a cui sono esposti gli edifici che lì si trovano.
I cittadini in ogni caso possono già chiedere attraverso una piattaforma dedicata l'ispezione puntuale del proprio edificio, domandando che i tecnici del comune o i volontari coordinati dalla protezione civile verifichino quale rischio corrono in caso di scosse le persone che vi abitano. Inoltre bisogna ricordare che il Governo ha stanziato 100 milioni di euro, da erogare in 5 anni, per finanziare fino al 50 per cento dell'importo necessario, eventuali lavori di qualificazione resi necessari a seguito della verificata vulnerabilità al bradisismo di un edificio (e sempreché lo stesso non sia abusivo).
Il rischio vulcanico. Recentemente la Protezione civile ha annunciato un'ulteriore articolazione dei livelli di allerta legati al rischio di un'eruzione, che dipendono dai parametri misurati dall'Osservatorio Vesuviano: verde (stato del vulcano "quiescente"), giallo (in cui si distinguono ora un "disequilibrio debole" e un "disequilibrio medio"), poi l'arancione (dove si può passare da un "disequilibrio forte" a un "disequilibrio molto forte") e rosso (che corrisponde allo stato "pre eruttivo"). Al momento e fin dal 2012 l'allerta è gialla e quindi non resta ai cittadini che convivere con i fenomeni di bradisismo senza però dover fare null'altro.
Allerta arancione. «Nel caso di allerta arancione, cioè di preallarme, si inizierebbe invece ad alleggerire la zona rossa, ovvero quella più a rischio, in cui attualmente si trovano circa 500mila abitanti, perché in caso di eruzione sarebbe investita da violenti flussi piroclastici ad elevata velocità e temperatura», dice la dottoressa Scalzo. «Per questo da un lato si favorisce attraverso incentivi economici l'allontanamento volontario dei cittadini che vogliono abbandonare l'area, dall'altro si svolgono operazioni che richiedono tempi lunghi, come l'evacuazione di strutture ospedaliere e istituti penitenziari».
Allerta rossa. Quando poi l'allerta diventa rossa, perché un'eruzione è più probabile e potrebbe arrivare a distanza di poco tempo, ecco che il piano operativo diventa più complesso e sfidante: «I cittadini vengono avvertiti attraverso IT-Alert (il sistema nazionale di allarme pubblico, ndr.) con un messaggio sul proprio cellulare, e a quel punto scattano le 72 ore di mobilitazione generale», dice Scalzo. «Le prime 12 ore sono il tempo necessario alle persone a rientrare a casa e preparare le proprie cose prima di allontanarsi». Va da sé che chi deve andar via potrà portare con sé solo lo stretto necessario, soprattutto se non parte con il proprio veicolo ma ha bisogno di assistenza. «Le seguenti 48 ore sono invece quelle destinate all'allontanamento della popolazione, che avverrà in maniera contemporanea, ma cadenzata per i vari Comuni della zona rossa in base al programma inserito nei piani comunali. Infine le ultime 12 ore sono un margine temporale di sicurezza per gestire le criticità, come per esempio il recupero di persone o animali domestici rimasti indietro».
Il grande esodo. La fase più critica è naturalmente quella delle 48 ore di evacuazione: far muovere 500mila persone non è una cosa semplice e va studiata nei minimi dettagli. «Si potrà usare il proprio automezzo, seguendo le vie di allontanamento decise nella pianificazione e che saranno tutte a senso unico in uscita, perché a quel punto nessuno potrà più entrare in zona rossa», spiega Scalzo. «Ci si potrà dirigere verso una seconda casa, verso l'abitazione di parenti o amici o andare nella provincia gemellata».
Gemellaggio. Il sistema di gemellaggio prevede appunto che ogni Comune o area della zona rossa sia gemellato con una determinata regione (per esempio gli abitanti di Pozzuoli sono destinati alla Lombardia). «Tutte le persone che invece necessitano di un trasporto dovranno recarsi anzitutto nei luoghi di attesa designati sulla mappa: per ogni area della zona rossa ce ne sono diversi, e per raggiungerli si potranno usare le segnaletiche stradali, qualora siano presenti, o farsi aiutare dai volontari della Protezione Civile e le forze dell'ordine che saranno dislocate sul territorio durante quella che sarà una vera e propria emergenza nazionale. Da qui gli sfollati a bordo di autobus saranno spostati verso le aree di incontro fuori dalla zona rossa, da dove partiranno poi per le altre Regioni».
Le aree di incontro designate, tra cui ad esempio la Stazione ferroviaria e il Porto di Napoli, sono in totale sei: da qui in treno e in nave avverrà il grande esodo. «All'arrivo nella Regione gemellata saranno allestiti posti di prima accoglienza, dove verrà gestita la sistemazione presso strutture alberghiere, scuole o altri edifici».
Prepararsi al peggio. L'aspetto più critico riguarderà il movimento di questa grande massa di persone in un arco temporale, tutto sommato, piuttosto ristretto: «Il punto cruciale», spiega Scalzo, «è quello della conoscenza della pianificazione da parte dei cittadini». In poche parole durante l'evacuazione bisognerà dare ordine al caos, ed è per questo che la Protezione Civile già da tempo ha avviato insieme a Comuni e Regione delle esercitazioni con la popolazione: l'ultima in ordine di tempo si è svolta dal 9 al 12 ottobre scorso e ha coinvolto più di 1.500 persone.
Aderire alle esercitazioni. La domanda è se un'adesione così esigua rispetto all'enorme mole di gente da spostare sia sufficiente a preparare tutti. «Naturalmente maggiore è l'adesione meglio è», spiega Scalzo, «ma anche questo numero che sembra piccolo è importante, perché poi ognuna di quelle persone condivide e racconta la propria esperienza in famiglia e nella cerchia di amici, e quindi le persone informate alla fine sono molte di più. In questo senso tutte le informazioni, comprese quelle contenute in questo articolo, sono utili a prepararsi ad affrontare un'eventuale catastrofe, anche se certamente esistono incognite cui nessuno può rispondere con certezza.
«È chiaro che già dalla fase di pre-allarme ad esempio sarebbe utile iniziare a preparare una valigia con gli effetti personali indispensabili», dice Scalzo, «ma in realtà nessuno può dire con certezza quanto ciascuna delle fasi potrebbe durare». E la stessa fase di allarme, benché temporalmente più ristretta, potrebbe protrarsi a lungo. «In ogni caso a quel punto, una volta che la zona rossa sarà stata tutta evacuata, nessuno vi potrà rientrare per nessun motivo».
Cosa succede in zona gialla. Quando gli esperti hanno definito i possibili danni per la popolazione in caso di eruzione, oltre alla zona rossa che è esposta al maggior rischio, ne hanno tracciata una gialla, in cui lo stesso rischio è contenuto, «perché le persone sarebbero esposte soltanto alla ricaduta di ceneri, in zone diverse a seconda della direzione del vento», dice Scalzo.
Rischio cenere. Ne consegue che in quest'ampia area, situata nell'entroterra e che comprende parte della stessa città di Napoli, «non ci sarà l'obbligo di evacuazione dell'intera area, ma al massimo di singoli edifici: i rischi maggiori riguarderanno l'accumulo di grandi quantitativi di cenere, che non comprometteranno la salvaguardia delle persone (ma potrebbero rendere le strade scivolose e danneggiare i tetti, ndr.)». In ogni caso per proteggersi sarà utile procurarsi mascherine protettive e occhiali antipolvere, come segnalato dal volantino informativo alla cittadinanza che si può scaricare sul sito Ionorischio.it.
Dall'altra parte del pianeta. Naturalmente l'emergenza dei Campi Flegrei non è l'unica presente al mondo, dato che non solo in Campania sono sorte città sopra il territorio vulcanico. Per esempio Auckland, in Nuova Zelanda, è costruita su un'area dove si trovano 53 vulcani. Ma come si preparano da quelle parti ad eventuali emergenze?
In Nuova Zelanda. «La posizione ai margini del cosiddetto Anello di Fuoco del Pacifico fa sì che la Nuova Zelanda sia un Paese geologicamente molto attivo e a rischio di eruzioni vulcaniche, terremoti e tsunami», spiega a Focus.it Angela Doherty, Principal Science Advisor dell'Auckland Emergency Management, il gruppo locale di Protezione Civile della regione di Auckland. «Sebbene la probabilità sia bassa, dato che gli scienziati ritengono ci sia circa il 10% di possibilità di un'eruzione nei prossimi 50 anni, recenti ricerche hanno indicato che un'eruzione nell'Area Vulcanica di Auckland ha il potenziale di creare la più grande evacuazione che la Nuova Zelanda abbia mai visto, dato che là vivono circa 1,5 milioni di persone».
esperienza italiana. Anche se i vulcani qui sono di tipo diverso, come spiega Doherty, che prima di tornare in patria ha studiato proprio all'Università Federico II di Napoli e vissuto nell'area dei Campi Flegrei per 5 anni, i problemi sono simili. «Non abbiamo registrazioni scritte o resoconti storici che ci aiutino a capire come sarà una futura eruzione o dove avverrà, ma le nostre eruzioni possono verificarsi in qualsiasi punto all'interno dell'Area Vulcanica di Auckland e con meno di un giorno di attività di pre-eruzione. Ciò significa che potremmo dover evacuare fino a 1,5 milioni di persone con pochissimo preavviso e da un pericolo che potrebbe verificarsi in qualsiasi punto della città, perdipiù delimitata su quasi tutti i lati dal mare, il che rappresenta una vera sfida di pianificazione e logistica».
sfida senza precedenti. «Abbiamo appena terminato l'Auckland Volcanic Field Response Plan, un piano per fornire supporto all'Auckland Emergency Management, la nostra Protezione Civile che coordinerà la risposta di più agenzie e dipartimenti governativi in caso di eruzione. Nel preparare quel piano ho cercato in tutto il mondo piani o processi simili da cui poter imparare, ma esistono pochissimi esempi di popolazioni molto grandi evacuate per pericoli vulcanici. Per questo abbiamo attinto ad esperienze di evacuazioni da altri pericoli, come quelle avvenute in Florida prima degli uragani».
Man mano che questi piani vengono condivisi con tutte le autorità, a cominciare dalla Polizia, che ha il compito di guidare l'evacuazione, come si preparano i cittadini? «Per il pubblico, ci sono molti programmi di istruzione e comunicazione gestiti dalla National Emergency Management Agency e dai gruppi di protezione civile regionali su cosa fare in caso di emergenza. Come l'Italia, la Nuova Zelanda è un paese molto attivo dal punto di vista sismico e vulcanico e ogni anno a ottobre si tiene un'esercitazione nazionale di evacuazione per terremoti e tsunami, chiamata ShakeOut. GNS Science, che equivale all'INGV italiano, svolge anche molte attività di sensibilizzazione pubblica, incluso il programma nazionale di monitoraggio dei terremoti e dei vulcani chiamato GeoNet. Le evacuazioni ad Auckland sono molto diverse a seconda del tipo di emergenza: quella per eruzione vulcanica sarebbe la più vasta, ma ne esistono anche di più limitate in caso di tsunami».
Pronti all'azione. La popolazione qui dunque è preparata a vari tipi di pericoli: per farsi un'idea delle aree che necessitano di evacuazione e dei tipi di pericoli i cittadini possono consultare il sito. «In caso di emergenza», conclude Doherty, «la Nuova Zelanda utilizza anche il sistema Emergency Mobile Alert che invia avvisi di emergenza ai telefoni cellulari, compresi i telefoni di turisti o visitatori». Se andate a Auckland, quindi, preparatevi: un'eruzione potrebbe capitare da un momento all'altro.
Fotogallery Le più grandi esplosioni di sempre