Secondo l'Antitrust le due società
hanno diffuso dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale
ingannevoli in contrasto con le effettive condizioni di lavoro
riscontrate presso fornitori e subfornitori cui è stata
esternalizzata larga parte della produzione di borse e accessori
in pelle a marchio Armani. Tali dichiarazioni sono presenti nel
Codice Etico delle società, in documenti pubblicati sul sito
Armani Values (www.armanivalues.com) e sul sito Armani
(www.Armani.com) in cui è presente un link che rimanda al sito
Armani Values.
Dall'attività istruttoria dell'Autorità è emerso, da un lato,
che le società hanno enfatizzato la loro attenzione alla
sostenibilità - in particolare alla responsabilità sociale,
anche nei confronti dei lavoratori e della loro sicurezza - che
è diventata uno strumento di marketing utilizzato per rispondere
alle crescenti aspettative dei consumatori. Del resto, il nome
stesso del sito aziendale (Armani Values) lo dimostra, come
anche alcuni documenti acquisiti nel corso delle ispezioni, da
cui emerge con evidenza l'obiettivo di "aumentare la percezione
positiva del brand dal punto di vista della sostenibilità … e
dal punto di vista commerciale … portare il cliente a fare
acquisti consapevoli anche dei 'valori' veicolati attraverso i
nostri prodotti".
Dall'altro lato, le società hanno scelto di esternalizzare
larga parte della propria produzione di borse e accessori in
pelle a fornitori che, a loro volta, si sono avvalsi di
subfornitori. Presso questi ultimi, in diversi casi, è emerso
che erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza dai
macchinari per aumentarne la capacità produttiva, in tal modo
ponendo a grave rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Inoltre, le condizioni igienico-sanitarie non erano adeguate,
mentre i lavoratori erano spesso impiegati totalmente o
parzialmente in "nero".
In tale contesto, è evidente che il rispetto dei diritti e
della salute dei lavoratori non è risultato corrispondente al
tenore delle dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale
diffuse da Giorgio Armani S.p.A. e G.A. Operations S.p.A..
La consapevolezza di tale situazione gravemente lesiva dei
lavoratori che producevano borse e accessori in pelle a marchio
Armani è con evidenza provata anche dal fatto che, durante
un'ispezione di Polizia Giudiziaria, era presente un dipendente
di G.A. Operations preposto al controllo della qualità delle
lavorazioni, il quale ha dichiarato di "recarsi mensilmente
presso quel laboratorio da circa sei mesi".
Infine, in un documento interno alla Giorgio Armani S.p.A.
del 2024, precedente all'apertura della procedura di
amministrazione giudiziaria richiesta dalla Procura della
Repubblica di Milano, si afferma addirittura che "nella migliore
delle situazioni riscontrate, l'ambiente di lavoro è al limite
dell'accettabilità, negli altri casi, emergono forti perplessità
sulla loro adeguatezza e salubrità".
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