Lo smart working non è stato, in
media, nè un acceleratore nè un ostacolo alla produttività delle
aziende italiane che, fino al Covid, lo utilizzavano poco ma
che, da allora, è rimasta una modalità piuttosto diffusa. Dopo
le prime previsioni e studi (e forti polemiche) la Banca
d'Italia, in un paper, grazie a una base dati più robusta e
lunga (dal 2019 al 2023) arriva a questa conclusione con un
caveat: c'è una eterogeneità fra le diverse classi di aziende.
Lo smart peraltro ha "avuto un impatto trascurabile sulla
produzione delle imprese (misurata in termini di ricavi o
quantità), sull'input di lavoro (numero di dipendenti o ore
lavorate), e non ha influenzato la composizione della forza
lavoro, i profitti, i costi variabili o gli investimenti nelle
tecnologie 4.0".
Dalla ricerca emerge quindi come proprio le aziende che
utilizzavano il lavoro da remoto prima della pandemia sono
quelle che hanno avuto un beneficio in termini di produttività e
hanno continuato a usarlo. Le "esperienze positive di lavoro da
remoto possono aver attenuato preoccupazioni iniziali al
riguardo" scrivono i ricercatori. "Al contrario, le imprese che
erano altamente resistenti" allo smart worlking "prima della
pandemia hanno sperimentato effetti peggiori sulla produttività
ed erano meno inclini a continuare a utilizzare il lavoro da
remoto dopo la fine dell'emergenza".
"Complessivamente, questi risultati suggeriscono che
l'incertezza svolge un ruolo significativo nell'implementazione
del lavoro da remoto e che il grande esperimento sociale
innescato dalla pandemia ha attenuato tali problemi solo per una
parte delle imprese," si legge.
Una eterogeneità quindi, rilevano gli autori, che dovrà
essere tenuta in conto nelle prossime ricerche che esamineranno
gli effetti sulle pratiche di assunzione, sugli investimenti in
tecnologie digitali avanzate, sulle pratiche manageriali.
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