Pressioni, delusioni, solitudine. Il tedesco ha parlato chiaro: "Mi manca la gioia in tutto ciò che faccio. Non riguarda solo il tennis". Anche l'azzurra di King Cup ha ammesso: "Stavo per smettere"
INVIATA Federica Cocchi
2 luglio - 17:26 - LONDRA
Spesso, quando si chiede a un tennista perché abbia scelto proprio questo sport, risponderà: "Perché in campo sei da solo, se vinci è merito tuo, se perdi è colpa tua". Il tennis è lo sport della solitudine, che amplifica i sentimenti ma a volte è proprio lì che si annida il pericolo. La pressione, le aspettative, il desiderio, il sacrificio, la vittoria e la sconfitta hanno un prezzo spesso alto da pagare. E se un tempo, il campione di tennis mostrava di sé poco più di quello che sapeva fare in campo, negli anni il lavoro del giocatore di tennis è cambiato. Sono diventate creature imprendibili, non possono dire nulla se non attraverso il filtro a maglie strettissime di addetti stampa, social media manager, agenti, sponsor. Creature eteroguidate che solo in campo, e ormai sempre meno vista l'introduzione del coaching, riescono a esprimere se stesse.
SENZA GIOIA
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E allora cosa succede? Che se non vinci, se fai fatica, se non sei all'altezza delle aspettative, pensi di aver fallito. La sconfitta, se non sei strutturato, se sei solo un po' più fragile a dispetto di quello che mostri in campo, o dell'immagine che il business ha deciso che tu debba avere, ti annulla. A tutti i livelli. Sascha Zverev è una promessa da quando aveva 18 anni: "Il prossimo numero 1 al mondo", "Vincerà tanti Slam". Ora ne ha 28 compiuti ad aprile, è sempre stato lì. A un passo. "Quasi numero 1", "quasi campione Slam". E così succede che dopo un anno in cui senti che forse è la volta buona, perché dei Big 3 è rimasto solo un Djokovic 38enne, ti ritrovi in una finale Slam contro Sinner e non hai chance di avvicinarti nemmeno al trofeo più grande, più importante e più ricco. Entri in una spirale in cui non vinci e ti prende una fatica, un malessere che ti fa dire cose preoccupanti come quelle di ieri, nella conferenza stampa seguita alla sconfitta contro Rinderknech: "Forse per la prima volta nella mia vita avrò bisogno di andare in terapia - ha detto -. Ho vissuto molte difficoltà. Con i media e nella vita in generale. Ma non mi sono mai sentito così vuoto. Mi manca la gioia. Mi manca la gioia in tutto ciò che faccio. Non riguarda solo il tennis. Mi manca anche al di fuori. Anche quando vinco, come a Stoccarda o ad Halle, non provo quella sensazione che avevo una volta, quella felicità, quell’entusiasmo, quella motivazione a continuare. Ora non c’è. Ed è la prima volta nella mia vita che sento questo".
I DUBBI DI BERRETTINI
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Parole simili a quelle che anche Matteo Berrettini aveva pronunciato dopo l'uscita di scena al primo turno contro Majchrzak nello Slam che lo aveva visto in finale quattro anni fa. Tanti infortuni, ripartenze e fatica a livello mentale: "Forse mi sono rotto anche lì – le sue riflessioni - . Troppe volte ho messo la parte fisica davanti a quella mentale, senza dare importanza a come mi sentivo dentro. Ma siamo persone normali che vengono messe davanti a decisioni e non è semplice quando c'è di mezzo la competizione. Oggi probabilmente non mi sentivo pronto a competere, senza quell'energia lì è difficile. Ho bisogno di prendermi del tempo e pensare al mio futuro perché questo non è il modo in cui voglio stare in campo...".
nella mente di lucia
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Ultima in ordine di tempo è stata Lucia Bronzetti, protagonista nella vittoria di Billie Jean King Cup lo scorso anno a Malaga, che proprio sull'onda di quella prestazione si è sentita schiacciata dalle aspettative a tal punto da pensare che non valeva la pena affannarsi per andare avanti col tennis: "Vengo da un periodo molto difficile, ho sofferto tanto sia dentro sia fuori dal campo e ci sono stati anche momenti in cui ho pensato proprio di smettere di giocare”. Un gioco che di divertente non ha più nulla, quando vieni stritolato dai suoi ingranaggi: "Vista da fuori, da chi non è dell'ambiente, si fa fatica a capire e ad immaginare queste cose - aggiunge - . Ma in realtà sono molto comuni tra i giocatori. Poi ognuno ha il suo carattere e reagisce diversamente, ma io sono abbastanza sensibile e mi faccio carico di tante cose che dovrei farmi scivolare più addosso. Cerco di ripetermi che le cose gravi nella vita sono altre. Il peggio che ti può succedere è perdere una partita o smettere di giocare. Però quando poi entri in campo e non stai bene è difficile e io faccio anche tanta fatica a fregarmene. Entrare in campo e fare una figuraccia è una cosa che mi pesa molto”.