Viviani: "Momento perfetto per smettere. Il mio futuro è nel ciclismo, mi vedo team manager"

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Ha chiuso da re con il terzo titolo mondiale in pista: "Gioia unica, mi sembrava di vivere un film. Ho raggiunto la pace dei sensi"

Ciro Scognamiglio

Giornalista

28 ottobre - 07:28 - MILANO

A mezzanotte di domenica – ora di Santiago del Cile - era già su un aereo per la Colombia: Elia Viviani è fatto così, non si ferma mai. E stavolta le strameritate vacanze hanno un sapore diverso perché una volta terminate non ci sarà da risalire in sella per inseguire nuovi obiettivi agonistici... Il Profeta ha dato l’addio nel modo più bello, vincendo il terzo titolo iridato in pista nell’Eliminazione all’ultima gara della carriera. E all’indomani, da Cartagena – dove ha incontrato subito l’amico Filippo Ganna – trova il tempo di pedalare a parole tra passato, presente e futuro. "Vorrei diventare un team manager, di sicuro resterò nel ciclismo". 

Viviani, com’è stata la festa? 

"Open bar e apericena con hamburger, patatine fritte e pizze. Le cose più semplici sono quelle che vengono sempre meglio. Sono le più belle". 

Ripensandoci a freddo: è stato un finale da favola non per modo di dire... 

"Non avrei potuto chiedere di più. Con il brivido dell’ultima volata con un rivale che conoscevo già bene. Ai Giochi di Tokyo, nell’Omnium, Campbell Stewart argento e io bronzo. Forse era destino, il neozelandese doveva “ridarmi” qualcosa". 

In che senso? 

"Eh, il secondo posto che mi ha strappato all’ultimo giro, quattro anni fa. Era un po’ dubbio, ma eravamo tutti così felici per il podio raggiunto che finì tutto in fanteria, diciamo. Non chiedemmo una revisione". 

Come andò? 

"Era riuscito a guadagnare un giro, e 20 punti, nell’ultima tornata. Ma il gruppo era in pezzi, non era chiarissimo quale fosse la testa della corsa. Lui si era accodato nella parte finale, mentre io ero davanti. E, da quarto o quinto che era, diventò secondo. Comunque, va bene così". 

Ci porti ancora per qualche istante nel velodromo. 

"Nel pre-gara ero agitato come un debuttante. E mi ero un po’ preoccupato: se questa emozione mi porta via energia, mi mancherà dopo... Ma appena il meccanico Carini mi ha spinto per partire, è passato tutto. Sono entrato in una specie di bolla, mi sembrava di essere dentro un film, con il lieto fine. Sono stato sempre lucido, ho gestito al meglio. L’Eliminazione è una prova feroce, nel finale mi sono giocato tutto ciò che mi era rimasto dentro. La forza, l’adrenalina". 

E il dopo-gara? 

"Devo dire che è stato bellissimo avere il privilegio che mia moglie Elena fosse presente. C’era nell’aria che potesse accadere qualcosa di speciale. Ora può sembrare che fosse tutto scritto, ma da scritto a far accadere le cose... Non è mai facile". 

È andato fortissimo: non è che cambia idea sul ritiro? 

"No. Ho raggiunto la pace dei sensi con questo finale, provo gioia e felicità. L’anno scorso, ero stato male tutto l’inverno per l’incertezza sul trovare squadra. Penso sia il momento perfetto per chiudere e non vedo l’ora di nuove sfide". Curiosità: l’Elia bambino immaginava un futuro diverso da quello sportivo? 

"Sinceramente, no. Magari non è stato subito il ciclismo. A volte più calciatore, più tennista, più sciatore. Mai pattinatore, perché l’ho fatto pochissimo. Ma lo sport è sempre stata la bussola". 

Un flash da ricordare in positivo: l’oro olimpico di Rio? 

"Sì, e il ruolo di portabandiera. L’orgoglio di rappresentare tutta l’Italia non è spiegabile. E, in quel momento, mi ha dato la fiducia per chiudere alla grande la carriera. Mi ha rilanciato". 

E il flash in negativo? 

"Al Giro 2013 avrei potuto indossare la prima rosa, ma Cavendish mi superò a Napoli. Però forse scelgo la Gand-Wevelgem 2018, a cui sono andato vicinissimo, beffato da Sagan". 

Lei pensa che il ciclismo italiano non sia messo così male nel suo complesso adesso, giusto? 

"Sì. La mia eredità più bella è aver contribuito a rilanciare la pista, che a Parigi 2024 ci ha dato tre medaglie. Su strada, contro Pogacar soffrono tutti... Io quest’anno, in Calabria, ho corso in Nazionale con Lorenzo Finn. Lui è uno di quelli che hanno qualcosa in più, come per esempio, tra i miei compagni, lo avevano Sagan e Alaphilippe". 

Da cosa l’ha capito? 

"Pedalandogli vicino. E accorgendomi di come le cose gli venissero facili. Funziona così quando hai delle doti speciali".

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