Valerio Sommella: "Quando nuoto lavoro meglio. Porto il design sott'acqua"

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L'attrezzatura marina tra i progetti del creativo: "I miei oggetti devono essere capaci di non passare mai di moda"

Marilena Pitino

26 luglio - 08:35 - MILANO

In una calda giornata estiva, l’appuntamento è alla Canottieri Milano, lungo il Naviglio, dove il designer Valerio Sommella si reca quotidianamente per nuotare, uno dei suoi sport prediletti insieme alla corsa. Classe 1980, nato a Cortona, in Toscana, e cresciuto a Milano, nel 2009 ha fondato Valerio Sommella Design Studio. Oggi collabora con brand italiani e internazionali, affrontando progetti industriali su scale diverse, capaci di raccontare storie sempre uniche. Lo abbiamo incontrato per approfondire la sua passione per lo sport e scoprire gli ultimi lavori. 

Che cosa rappresenta per lei questo luogo? 

"Vengo qui in pausa pranzo per ritagliarmi un momento tutto mio. Ho scelto questo posto quando lavoravo da Stefano Giovannoni: avevo un’ora e mezza di pausa e nuotavo ogni giorno. Una routine che continuo a seguire. È il mio momento, non riesco a farne a meno: mi fa stare bene, sia fisicamente, sia mentalmente. Se per qualche giorno non faccio sport, gli amici se ne accorgono subito, mi dicono che divento nervoso. Il nuoto, così come la corsa, è uno sport che mi permette di pensare. La mattina lavoro in studio, poi mentre nuoto rifletto sulle cose fatte, a quelle da fare. Quando torno, ho le idee più chiare, riparto con un’energia diversa. È il mio modo per rigenerarmi". 

È sempre stato appassionato di sport? 

"Da bambino ho sempre praticato sport, mi piaceva molto. Oltre al calcio, ho provato nuoto e tennis, due discipline individuali, il primo più dell’altro, infatti per un bambino può risultare noioso. Poi c’è stata una lunga pausa, durante la quale mi sono innamorato della musica, in particolare della batteria. Dai 14 ai 21 anni mi sono dedicato esclusivamente a suonare. Ho ripreso a nuotare durante l’anno di Erasmus a Birmingham, e da allora non ho più smesso". 

Che cos’altro le piaceva praticare? 

"Il tennis, appunto, perché era uno sport complesso. In realtà è proprio per questo che ho smesso, troppo impegnativo dal punto di vista psicologico". 

Come affronta le gare? 

"Non mi interessano particolarmente, se partecipo lo faccio solo per mettermi alla prova. Ho sempre vissuto lo sport come un momento personale. Anche quando nuoto in mare, non m’importa arrivare prima degli altri ma vivere pienamente quella esperienza, in connessione con me stesso". 

Lo sport influenza il suo approccio al design? 

"Spesso si lavora su progetti a lungo termine, e questo può risultare, a volte, frustrante. Lo sport però mi aiuta a mantenere l’equilibrio: mi insegna la costanza e il valore del tempo". 

Lavora a nuovi progetti? 

"Nel mio lavoro, ciò che mi piace di più è intrattenermi, devo divertirmi nel farlo e quindi ideare cose sempre nuove. In questo momento sto seguendo un progetto con un’azienda greca, molto diverso da ciò che realizzo abitualmente con i clienti italiani. Si tratta di un dispositivo elettronico avanzato, pensato specificamente per lo sport. Sto inoltre collaborando con clienti in Indonesia, Brasile, Spagna e Stati Uniti. Questa varietà di esperienze e mercati è qualcosa che apprezzo molto perché mi stimola continuamente". 

Qual è la maggiore sfida che si trova ad affrontare? 

"Disegnare oggetti longevi, capaci di resistere nel tempo e di non passare mai di moda. Quando realizzo un progetto, spero sempre che possa rimanere a catalogo per molto tempo. È proprio il valore dell’oggetto nel tempo che trovo affascinante". 

Che cosa vorrebbe progettare di nuovo? 

"Da appassionato del mare, avevo pensato di iscrivermi a Biologia Marina prima di intraprendere la carriera di designer. Mi piacerebbe quindi creare attrezzature sportive legate al mondo marino; trovo bellissimi, ad esempio, gli occhiali e le maschere subacquee".

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