Social e depressione dei teenager: che legame c'è? Lo studio

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 che legame c'è? Lo studio

Secondo i ricercatori statunitensi l'uso crescente dei social nei preadolescenti è associato a un aumento dei sintomi depressivi

Daniele Particelli

14 settembre - 17:32 - MILANO

I social network stanno contribuendo allo sviluppo della depressione nei più giovani oppure sono i ragazzi e le ragazze, già depressi, a trascorrere più tempo online? È una domanda che ci si sta ponendo da tempo, da quando i social network sono diventati sempre più una parte integrante della nostra vita, sia i giovani che gli adulti, al punto da far sviluppare vere e proprie dipendenze.

Social e depressione dei teenager: che legame c'è?

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Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell'Università della California - San Francisco (UCSF), pubblicato sulla rivista JAMA Network Open, prova a gettare nuova luce sulla questione: l’uso crescente dei social nei preadolescenti è associato a un aumento dei sintomi depressivi, ma non è vero il contrario.

Il team guidato da Jason Nagata, professore associato di pediatria alla UCSF, ha seguito un gruppo di circa 12.000 bambini tra i 9 e i 13 anni nel corso di tre anni, valutando i cambiamenti sia nell’uso dei social media sia nella salute mentale. I risultati parlano chiaro: l’utilizzo medio giornaliero dei social è passato da 7 a 73 minuti, e nello stesso periodo i sintomi depressivi sono aumentati del 35%. I dati raccolti, però, non mostrano che un peggioramento della salute mentale spinga i ragazzi a usare di più le piattaforme.

"I risultati dimostrano che i social media potrebbero effettivamente contribuire allo sviluppo della depressione nei giovani”, ha spiegato Nagata, pronto a richiamare anche l’attenzione su fattori di rischio ben noti, dal cyberbullismo alla scarsa qualità del sonno, già associati all’uso eccessivo degli schermi di computer e smartphone.

Depressione e Cyberbullismo

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Nagata non ha menzionato a caso il cyberbullismo. Lui e il suo team hanno pubblicato in parallelo uno studio sull'argomento, evidenziando come tra i ragazzi di 11-12 anni, le vittime di bullismo online hanno mostrato un rischio 2,62 volte maggiore di sviluppare pensieri suicidari o tentare il suicidio nell’anno successivo. Anche il rischio di ricorrere a sostanze come marijuana, nicotina e alcol è risultato significativamente più alto in questo gruppo.

I risultati dei due studi, secondo Nagata e i suoi ricercatori, rappresentano quindi una doppia faccia della medaglia per gli adolescenti: da un lato possono favorire la connessione tra coetanei, con tutte le conseguenze positive del caso, dall’altro però espongono a dinamiche tossiche che possono aumentare la vulnerabilità psicologica in un circolo vizioso che è difficile da spezzare.

Se il problema riguarda in particolare i bambini, sono gli adulti a doversi muovere per dare il buon esempio. "Dire semplicemente ai bambini di ‘staccare la spina’ non funziona. Servono l’esempio degli adulti, conversazioni aperte e momenti condivisi senza schermi, come durante i pasti o prima di andare a dormire", ha concluso Jason Nagata, professore associato del Dipartimento di Pediatria dell'UCSF.

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