Oltre al turnover in porta con la promozione di Martinez, tornano Dimarco e Sucic. In difesa spazio a Bisseck e De Vrij. E Zielinski cresce
Roberto Maida
16 settembre - 10:53 - MILANO
Chi ha tempo, non aspetti tempo. Vidimata la fiducia della società, che spera di non porsi mai davvero il problema di un esonero, Cristian Chivu cambia l’Inter per cercare la svolta. Le due sconfitte consecutive, l’ultima delle quali particolarmente dolorosa, gli suggeriscono di smuovere l’arenile. Non nella struttura, almeno per il momento, ma nelle componenti della sabbia: contro l’Ajax, al debutto in Champions League, è lecito aspettarsi quattro-cinque novità rispetto alla formazione che ha cominciato la partita di Torino. L’obiettivo è sfruttare le forze fresche, certo, ma anche di shakerare lo spogliatoio nei fatti, dopo le urla del weekend: il messaggio da trasferire ai giocatori è che non esistono più privilegi né gerarchie. Nessuno, come già hanno constatato Mkhitaryan e Dimarco, può sentirsi sicuro del posto da titolare.
Il turnover
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La prima vittima dei quattro gol della Juventus dovrebbe essere il portiere, Yann Sommer, che ha sbagliato troppo. Sembrano lontani un lustro i tempi della paratona decisiva su Lamine Yamal nella semifinale di San Siro, invecchiata invece di soli quattro mesi. Oggi i suoi (quasi) 37 anni sono calati di colpo sulla stanza dei bottoni, generando inquietudine anche in prospettiva. Al suo posto è stato già preallertato Josep Martinez, detto Pep come Guardiola, che in Champions ha giocato due volte nella vita vincendo sempre e senza inchinarsi mai: una con il Bruges (5-0) quando era al Lipsia e una con il Feyenoord (2-0), pochi mesi fa a protezione dell’Inter. Portafortuna, magari. Però Martinez aspetta da tanto un’occasione per dimostrare di valere il ruolo: lo avevano preso per questo, nel 2024 dal Genoa, pagando quasi 15 milioni. Ad Amsterdam, quindi ancora in Olanda, forse comincerà la sua storia interista, in un passaggio di consegne che assomiglia alla recente staffetta tra Handanovic e Onana, risultata trasgressiva quanto redditizia.
In corsa
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Ma è la difesa in generale a preoccupare Chivu e Marotta. Gli squilibri dell’Inter sono rappresentati alla perfezione dai numeri: miglior attacco (9 gol) e peggiore difesa (6) della Serie A delle prime tre giornate. Il primo dato è da scudetto, il secondo da retrocessione. Tutto si può aggiustare, piano piano, ma nessuno avrebbe potuto immaginare un inizio di campionato così sghembo. Ecco perché ad Amsterdam, nello stadio dove Chivu ha indossato la fascia di capitano a 21 anni, non sarebbero strani interventi di ripristino della facciata: l’olandese De Vrij spera di essere preferito ad Acerbi mentre Bisseck, sì il criticatissimo Bisseck, ha la possibilità di tornare in ballo al posto di Akanji, che dopo una lunga inattività ha giocato tre partite intere in otto giorni tra nazionale e club. Sull’esterno sinistro invece è scontato il rilancio di Federico Dimarco. Non è entrato bene allo Stadium, ha sofferto molto in maglia azzurra contro il talento israeliano Gloukh che adesso lo minaccia con l’Ajax, ma è un patrimonio da non disperdere.
La stellina
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Anche nel mezzo, in teoria, Chivu potrebbe chiedere aiuto ai riservisti di Torino. Il più sicuro di giocare è ora Petar Sucic, che si porta dietro una statistica interessante in Champions: con la Dinamo Zagabria ha segnato 2 reti in 3 partite nel girone dello scorso anno, prima di fratturarsi un piede. Niente male per un giovane centrocampista. Ma se valgono le sostituzioni di sabato scorso, occhio pure a Zielinski che è tornato a esprimersi a buoni livelli. In allenamento ad Appiano Gentile va come un treno, reclama spazio e considerazione mai davvero raggiunti nel primo anno all’Inter. Se Calhanoglu è intoccabile, a maggior ragione dopo la fantastica doppietta dello Stadium, magari può essere Barella stavolta a riposare. Alternanza, si chiama, in un momento in cui l’abbondanza è un requisito minimo per lottare su più fronti. E Frattesi, oppure Diouf? Magari più avanti, magari nella ripresa. Dietro a Lautaro e Thuram, che per motivi diversi è meglio non frenare, la bagarre è qualificata e rumorosa: l’Europa impone concorrenza e meritocrazia.