L’ex difensore ha trascorso 46 giorni in terapia intensiva per un tumore al sistema linfatico: "Ho stretto forte la mano di mia moglie e le ho chiesto di aver cura di nostra figlia. Mi tirarono dentro nel calcioscommesse, otto anni dopo mi hanno assolto ma quella vicenda mi ha segnato la vita"
Oscar Maresca
14 ottobre - 11:49 - MILANO
L’ultima partita di William Pianu è andata oltre il novantesimo: “Ho trascorso 46 giorni in terapia intensiva, pensavo di morire. Ad aprile mi hanno diagnosticato un tumore al sistema linfatico. I medici hanno scelto di intervenire subito. Sono stato in coma farmacologico, di quel periodo ho ricordi sbiaditi. Grazie al cielo però sono ancora qui”. L’ex difensore di Bari e Treviso ha superato il periodo più brutto della sua vita grazie all’amore della famiglia: “Prima di chiudere gli occhi ho stretto forte la mano di mia moglie Veronica. Le ho chiesto di avere cura della nostra bambina. Potevano essere le ultime parole che le dicevo”. Ex difensore, classe 1975, ha collezionato quasi 300 presenze tra B e C. È cresciuto nelle giovanili della Juventus insieme a Del Piero, ha marcato Baggio e sfidato Nedved. A fine carriera si è allontanato dal calcio: “Ho provato ad allenare, ma i dilettanti non sono il mio sport. L’occasione tra i professionisti non è mai arrivata”. Pianu si è rimboccato le maniche e ha cambiato strada: “Ho fatto il barista, il commesso in un negozio di abbigliamento e pure il magazziniere”.
Fino a quel maledetto giorno di aprile.
“La diagnosi mi ha distrutto. Ho sofferto e mi dispiace aver fatto soffrire anche la mia famiglia. Non immagini mai possa capitare a te. All’ospedale di Venezia ho trascorso 46 giorni in cui ho rischiato di non svegliarmi. Poi sono cominciati i cicli di chemioterapia, ho perso 30 chili. Di tante partite che ho giocato, questa è la più importante della mia vita. Come in campo, non ho mai smesso di combattere”.
C’è un altro eroe del Bari che sta lottando contro la malattia: Igor Protti.
“L’ho saputo, ci siamo sfidati quando lui era capitano del Livorno. Da ex calciatori non ci arrendiamo, spero che anche lui abbia la forza di liberarsi da questo brutto male”.
Pianu, adesso come sta?
“Proseguo le terapie, la malattia è in regressione. Fatico ancora a stare in piedi. Guardo qualche partita in tv, mi concentro sui dettagli e sui movimenti dei giocatori”.
L’attitudine da allenatore non l’ha persa.
“Ci penso sempre, vorrei tornare in panchina. Ho avuto qualche esperienza tra i dilettanti, ma puntavo in alto. Il telefono però non squillava. Dovevo lavorare, allora mi sono arrangiato. Quando facevo il barista tornavo a casa a notte fonda. Come commesso stavo fuori tutto il giorno. Le mansioni da magazziniere mi piacevano. Ho sempre superato gli ostacoli con orgoglio e dignità”.
Nella vita, in campo e pure in tribunale.
“A fine carriera, il mio nome è finito tra i 150 indagati dell’inchiesta Bari-bis: lo scandalo del calcioscommesse scoppiato nel 2011. Ho giocato in Puglia dal 2005 al 2007, due ex compagni mi incolparono di presunte combine. In primo grado il giudice mi ha condannato a sette mesi di reclusione per frode sportiva. Ho pure rimediato una squalifica di tre anni”.
Poi com’è finita?
“Dopo cinque anni di inferno e battaglie nelle aule giudiziarie sono stato assolto dalla Corte d’Appello di Bari nel 2015 per non aver commesso il fatto. Ero innocente, eppure quella vicenda ha macchiato per sempre la mia carriera”.
Cominciata nelle giovanili della Juventus con Del Piero e Manfredini.
“Sono arrivato in bianconero nel 1993, Alex era già in prima squadra. Giocava soltanto qualche partita con noi della Primavera. In quella stagione vincemmo sia lo scudetto che il Torneo di Viareggio. In panchina c’era Cuccureddu”.
Che ricordi ha di quell’esperienza?
“Al Viareggio superammo la Fiorentina in finale: 3-2 al ritorno, con golden gol di Del Piero su rigore nei supplementari. Nell’estate del primo anno ho pure disputato l’amichevole di Villar Perosa: c’erano Di Livio, Ravanelli, Vialli, Baggio. Provai a marcare Roby, era impossibile. Andava via a ogni sterzata. Finì 10-1 per loro, sotto gli occhi di Boniperti e dell’Avvocato Agnelli. Atterrò con il suo elicottero in mezzo al campo e venne a stringere la mano a noi giovani”.
Con la Juventus non ha mai esordito tra i grandi.
“In quel periodo la Primavera dava pochissimi ragazzi alla prima squadra. Per fare la gavetta andavi in prestito tra Serie C e B. Ho iniziato a girare tra Pro Vercelli, Rimini, Cittadella. Nel 1999 arrivo a Treviso e ci resto per sette stagioni”.
L’emozione più bella?
“L’esordio in B a Pescara, in squadra avevamo anche un giovane Toni. Per la prima volta finii sulle figurine. Il nostro era un gruppo molto unito. Ecco perché nel 2001 scendemmo in campo con il viso dipinto di nero per solidarietà a Omolade, vittima di insulti razzisti dei nostri tifosi”.
Nel 2004 si trasferisce alla Triestina.
“Due anni belli, ma complicati. Nella stagione successiva arrivò Fabio Macellari, il più folle di tutti. Ci raccontò della Ferrari che distrusse nel periodo a Cagliari. Lui è stato all’Inter, noi non eravamo al suo livello. Una volta in allenamento si sfilò la pettorina e disse: ‘Io con questi non ci gioco’. E uscì dal campo”.
Bari è l’altra tappa importante della sua carriera.
“Nel 2006 ho avuto la fortuna di sfidare la Juventus di Camoranesi, Del Piero, Trezeguet. A me toccò coprire l’area del campo in cui giocava Nedved. Toccava il pallone con entrambi i piedi, non sapevo dove chiuderlo. In quel momento ho capito perché loro erano dei campioni e io giocavo soltanto in Serie B. Al ritorno al San Nicola vincemmo 1-0, scambiai la maglia con un giovanissimo Marchisio”.
Ha dei rimpianti?
“Nessuno, sono felice. Nonostante la malattia. Ho soltanto un desiderio”.
Ci dica.
“A 50 anni voglio godermi ogni momento insieme a mia moglie e a nostra figlia. Non posso più ragionare a lungo termine. La vita non torna più indietro”.