(di Francesco Gallo)
Gli obiettivi di un regista che deve
girare in clandestinità, la resistenza al regime iraniano fin
dentro il carcere, il valore dei premi e, infine, un racconto di
come ha vissuto a Cannes la serata di gala in cui ha ricevuto la
Palma d'oro per 'Un semplice incidente', pura poesia. Jafar
Panahi, miscuglio perfetto di genio e semplicità, non delude
mai, tanto più alla Festa di Roma dove riceverà stasera il
premio alla carriera consegnatogli da Giuseppe Tornatore e dove
ha presentato 'Un semplice incidente' in sala dal 6 novembre con
Lucky Red e in corsa per gli Oscar per la Francia.
I premi - "L'obiettivo di un regista è quello di far vedere i
suoi film al maggior numero possibile di spettatori e quindi
ricevere un premio significa anche questo: è un onore ma è anche
funzionale al fatto che lo veda più gente possibile".
Clandestinità e cinema - "In Iran se non fai un film di
propaganda governativa non ti fanno lavorare. È questo il vero
problema. Allora ti puoi rassegnare o trovare una soluzione. Ho
cominciato così a pensare: cosa potrei mai fare se non facessi
regista? Mi sono detto: potrei guidare un taxi, ma anche
guidando un taxi probabilmente mi metterei a girare, da qui i
miei film girati in auto. Avevo degli studenti di cinema che si
lamentavano continuamente perché non potevano lavorare e io gli
ho detto, invece di lamentarvi trovate una soluzione. Di fatto
oggi i migliori film iraniani sono realizzati in maniera
clandestina".
Come sta cambiando l'Iran - "Il movimento Donna, Vita,
Libertà sta cambiando le cose. Un esempio: nel mio film si vede
a un certo punto una donna senza velo. In altri tempi sarebbe
stato una finzione, oggi invece la finzione sarebbe non metterne
una. La gente si sente molto più vicina di prima, ma il regime
vuole creare tra loro distanza. Il mio popolo sta cercando di
risolvere i suoi problemi quotidiani, ma non posso dire che io
mi sia sacrificato di più perché ho conosciuto il carcere. Lì ho
visto che tanta gente stava peggio di me. Per fare un esempio
c'è chi faceva lo sciopero della fame per venti giorni e nessuno
veniva a sapere nulla, se invece ero io a farlo per due giorni
di questo mio sacrificio era a conoscenza tutto il mondo".
'Un semplice incidente' e la vendetta - "In realtà il tema
della vendetta o del perdono non sono certo la parte più
profonda di questo film, ma casomai quella superficiale e
funzionale per portare avanti la storia e per spezzare il
circolo vizioso di violenza che genera violenza", dice il
regista che nel film colloca in un furgone bianco tutto il cast:
il proprietario-conducente, una coppia di sposi, la loro
fotografa, un uomo senza una gamba chiuso in un baule e un altro
uomo animato da troppa voglia di vendetta.
La sera della Palma d'oro e gli occhiali della moglie - "La
sera prima della cerimonia a Cannes ho ricevuto una telefonata
dal carcere di un mio amico detenuto che mi avvisava che in
prigione avevano saputo che avrei potuto vincere qualcosa e che
erano tutti pronti a festeggiare. Ora non era scontato che avrei
vinto, ma lui non voleva nemmeno pensare all'idea che non ci
sarei riuscito, aveva un atteggiamento da tifoso di calcio. La
notte non ho chiuso occhio e per tutta la durata della cerimonia
non pensavo altro che al mio amico e sentivo un grande
responsabilità sulle spalle. Quando hanno chiamato il mio nome
dicendomi che avevo vinto mi sono rilassato e solo a fine serata
mi sono accorto che gli occhiali che stavo portando erano quelli
di mia moglie".
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