Il livornese è stato oro iridato nei 400 ostacoli nel 1999: "A Tirrenia si allenava anche il Livorno Calcio. Un giorno Donadoni gridò: 'Guardate lui che atleta serio, non come voi che cazzeggiate...' Io fuori in semifinale, poi riammesso: non potevo non vincere. Alleno Ambra Sabatini, proviamo il salto in lungo"
. Andrea Buongiovanni
18 settembre - 07:05 - MILANO
Il magico oro di Furlani nel lungo ai Mondiali di Tokyo riporta a un’altra notte leggendaria dell’atletica italiana: il 27 agosto 1999, a Siviglia, Fabrizio Mori conquistò il titolo iridato dei 400 ostacoli. Con una rimonta da batticuore nel rettilineo finale, il livornese entrò nella storia.
Fabrizio, cosa resta di quella magica notte?
“Tante meravigliose emozioni: rappresentano l’apice di una carriera durata oltre vent’anni. La condizione giusta, un ambiente fantastico, il caldo che piace a me: forse non ero il favorito, ma non potevo non vincere”.
Due giorni prima, però, venne squalificato…
“Dopo la semifinale chiusa al secondo posto dietro al mio amico-rivale Stephane Diagana, per un’ipotetica invasione di corsia tra il 6° e il 7° ostacolo. La federazione fece ricorso, rimasi fiducioso, inconsciamente qualcosa mi diceva di star tranquillo. Una volta riammesso, impossibile fallire”.
Le altre imprese di cui va più orgoglioso?
“Le cinque vittorie in Coppa Europa, un primato che in azzurro condivido col grande Alessandro Lambruschini nei 3000 siepi. Danno il senso dell’affidabilità e della longevità”.
Non aveva certo un fisico da marziano, eppure… Qual era il segreto?
“La ritmica tra le barriere, con 14 passi fino alla settima e 15 poi. La capacità di centellinare gli spazi nei 35 metri che separano un ostacolo dall’altro è decisiva, l’essere ambidestro fa il resto. Tutto dev’essere preciso, come un vestito fatto da un sarto”.
La specialità, rispetto ai suoi tempi, è tra quelle che più ha risentito dell’evoluzione tecnologica.
“Le scarpe di nuova generazione aiutano a rimbalzare e nei 400 ostacoli lo si fa più che in ogni altra gara. Guardate quel mostro di Karsten Warholm…”.
Come cominciò la sua avventura?
“A scuola ero irrequieto: la maestra chiamò i miei e decisero che avrei dovuto fare sport. Capitai al campo scuola di Livorno e presto finii nelle mani di Paolo Falleni, il mio primo allenatore. Mi indirizzò verso gli ostacoli alti che presto, data la mia statura, diventarono i bassi. Prima quelli dei 300 delle categorie giovanili, poi quelli dei 400”.
Da alcuni mesi alleno Ambra Sabatini, oro paralimpico dei 100. Proviamo il lungo
Fabrizio Mori
Il suo nome è però strettamente legato a quello di coach Roberto Frinolli.
“È stato un maestro di vita. Con la sua enorme esperienza, anche da atleta di vertice, mi ha fatto capire cosa siano i 400 ostacoli. Tra noi c’era e c’è grande affinità. Ora serve il mental coach e chi ti rimbocchi le coperte. Io avevo Roberto: mi bastava”.
Ha seguito le sue tracce, ora allena anche lei…
“Da alcuni mesi, sulla pista restaurata del campo scuola, seguo con entusiasmo Ambra Sabatini, oro paralimpico dei 100 a Tokyo 2021, livornese e finanziera come me. È solare, divertente, serena: sa superare ogni difficoltà. Dopo due anni e mezzo a Castelporziano con Pasquale Porcelluzzi, ha sentito l’esigenza di tornare verso casa, anche se poi è cresciuta a Porto Santo Stefano, in provincia di Grosseto. Ho accolto la richiesta a braccia aperte”.
Quali gli obiettivi?
“Stiamo provando il lungo, sono già arrivate buone misure: a fine settembre ci aspettano i Mondiali in India. Vogliamo smentire un esperto tedesco di protesi che dice che far bene entrambe le specialità è impossibile”.
Non allena più ostacolisti?
“Ho collaborato a lungo con la federazione, prima per il settore giovanile, poi per quello assoluto. Davo una mano anche a Sibilio e al suo tecnico Ciappa. Ma a dicembre mi hanno azzerato. Il nuovo capo settore mi ha detto che, seguendo Ambra, non avrei più avuto tempo. Avrei preferito una scusa migliore. Mi spiace per i meno esperti: alcuni mi chiedono ancora consigli”.
Cosa pensa di Sibilio?
“La stoffa del campione c’è tutta e sono felice se, dopo tanti anni, mi ha sottratto il record italiano assoluto e under 23. Peccato a questi Mondiali di Tokyo fosse indietro di condizione”.
Piccoli Mori, intanto, crescono.
“Piccoli mica tanto… Mio figlio Gabriele, 22 anni, ha fatto un po’ di velocità, ma ha smesso. I figli di mio fratello, invece, vanno forte. Federico è azzurro di rugby: centro nel prestigioso campionato francese con Bayonne. Se esistesse il teletrasporto, ci andrei ogni weekend. E Rachele, iridata under 20 del martello nel 2022 a Cali, da quest’anno allenata da Nicola Vizzoni, per fare il prossimo salto di qualità deve abbattere il muro dei 70 metri”.
Le spiace constatare che il centro di Tirrenia, dove ha costruito le sue imprese, sia praticamente inutilizzabile?
“Tanto, sono legatissimo a quel luogo. Anche il Livorno Calcio di Roberto Donadoni si allenava lì. Un giorno gridò ai suoi ragazzi: “Guardate Mori che atleta serio, mica come voi che cazzeggiate tutto il giorno…”".
Chi è il suo miglior amico nel mondo dell’atletica?
“L’ex quattrocentista Andrea Nuti: possiamo non vederci per mesi, ma il rapporto non viene meno. Di recente arrivavo in treno a Milano: l’ho chiamato che ero quasi in stazione. È corso a prendermi”.
Come mai Livorno, dai Montano a Picchi, esprime campioni in tanti sport?
“Grazie a un’impiantistica all’avanguardia e al fatto che un’eccellenza tira l’altra”.
Per alcuni mesi, nei primi anni Novanta, è stato consigliere comunale: tornerà mai in politica?
“Capii che non faceva per me quando, chissà perché, decisero di dare la cittadinanza onoraria a Michael Schumacher. Preferisco stare al campo coi ragazzi”.