Uno studio giapponese rivela un sorprendente effetto antifibrotico del pigmento sulle cellule epatiche
Giacomo Martiradonna
13 novembre - 17:30 - MILANO
Usato da millenni come colorante naturale per pelle e capelli, l'henné potrebbe nascondere proprietà che vanno ben oltre l'estetica. Un gruppo di ricercatori dell'Università Metropolitana di Osaka ha individuato nei pigmenti della Lawsonia inermis (la pianta da cui si ricava l’henné) una nuova, potenziale arma contro la fibrosi epatica. Si tratta di una patologia caratterizzata dall'accumulo di tessuto cicatriziale nel fegato in seguito a lesioni croniche che possono essere causate, tra le altre cause, dall'abuso di alcol. Lo studio, apparso sulla rivista Biomedicine & Pharmacotherapy, suggerisce che il lawsone, il composto naturale responsabile del colore dell'henné, possa contribuire a ridurre i marcatori della fibrosi e a modulare l'attività delle cellule coinvolte nella malattia.
Henné e fegato, lo studio
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L'analisi dei dati ha mostrato che il lawsone sembra capace di interferire con l'attivazione delle cellule stellate epatiche da cui ha origine il tessuto fibrotico. In caso di lesioni croniche del fegato, queste cellule si attivano per produrre grandi quantità di collagene che, a lungo andare, compromette le funzionalità dell'organo. Nei modelli sperimentali, i ricercatori hanno tuttavia osservato una parziale inibizione del fenomeno e un miglioramento della malattia grazie al lawsone.
Henné come farmaco antifibrotico naturale
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Il potenziale effetto antifibrotico dell'henné apre la strada a nuove terapie basate su molecole di origine vegetale. L'obiettivo, spiegano gli autori dello studio, è individuare composti naturali in grado di agire direttamente sulle cellule stellate attivate, per controllare la progressione della fibrosi epatica. E i risultati preliminari indicano che il lawsone potrebbe trovare applicazione anche negli stadi più avanzati della malattia.
quando arriverà l'antitumorale a base di hennè?
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Prima di arrivare a un farmaco e a un protocollo clinico, ci vorranno molti anni e ulteriore ricerca. I prossimi step prevedono test su modelli più complessi e valutazioni di sicurezza ed efficacia sull'uomo. Secondo il team di Osaka, inoltre, sarà essenziale perfezionare i meccanismi di somministrazione mirata del composto alle cellule epatiche per poter saggiarne gli effetti a lungo termine.










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