La sfida dell'antipatico Gasp

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Il nuovo allenatore giallorosso avrà l'obiettivo di ricreare a Roma la magia prodotta con l'Atalanta

Luigi Garlando

Giornalista

18 giugno - 07:11 - MILANO

Chissà, probabilmente Oriana Fallaci l’avrebbe intervistato e inserito nel suo libro “Gli antipatici”, accanto a Gianni Rivera e Alfred Hitchcock. Gian Piero Gasperini, l’Antipatico. La Roma l’ha annunciato con l’acronimo di monumenti iconici: Gianicolo, Altare della Patria, San Pietro, Pantheon. Ma gran parte della tifoseria giallorossa, nella sigla Gasp, ci ha letto: Grande Antipatico Sulla Panchina. Perfino Claudio Ranieri, durante la presentazione di ieri, ci ha messo il timbro "Stava antipatico anche a me…". Perché questa etichetta nitida?

Forse perché, se Gasp ha la sensazione che Chiesa caschi troppo a terra, lo dice (Firenze); se gli arbitri sbagliano, pure; perché non obbedisce agli ultras (Genoa); forse perché, in un circo di parole e gesti codificati, usa pochi filtri. A volte, esagera ("Lookman peggior rigorista"). Di sicuro, non fa l’amico dei giocatori. Gli mancano il vernacolo e le parolacce dei colleghi toscani che funzionano sempre. Ieri Gasp non ha detto "Daje!", né citato versi del Belli, nessuna mourinhata, ma ha fatto sorridere, ricordando che a Zingonia non è mai morto nessuno. Gasperini sa benissimo due cose. La prima: vincerà la sfida se diventerà “simpatica” la squadra, nel senso etimologico del termine, cioè capace di “sentire e soffrire insieme”, a Trigoria e in partita. Per intensità di lavoro, unità di spirito e connessione tattica, negli ultimi dieci anni, non c’è stata squadra più “simpatica” dell’Atalanta. Deve ricreare la magia nell’Urbe. Seconda cosa: alla quarta giornata c’è già il derby. Se lo vincerà, diventerà più simpatico di Alberto Sordi. 

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