"La carità non fa differenze di colore, etnia o religione". Non fa distinzioni di luoghi di provenienza, così come non tiene conto di orari o giorni di festa: "Va incontro a chi è nel bisogno in qualunque momento e in qualunque occasione". Così l'arcivescovo Konrad Krajewski spiegava anni fa all'Osservatore Romano lo spirito da cui è animato il lavoro dell'Elemosineria Apostolica, sempre in prima linea dove più drammatiche e urgenti sono le emergenze sociali.
La carità di Papa Francesco - chiariva l'elemosiniere - "è per tutti i bisognosi di Roma, la sua diocesi: sia che vivano da tempo nell'Urbe, sia che siano appena arrivati come rifugiati, immigrati, richiedenti asilo". Le 'braccia' per far giungere ovunque gli aiuti sono i volontari che fanno riferimento all'Elemosineria. La loro è un'attività quotidiana: "Una sorta di pronto intervento - la definiva monsignor Krajewski - dove c'è più necessità e bisogno". Seguono lo stile evangelico di non far sapere alla mano destra ciò che fa la sinistra. Non una elemosina ma un debito sociale.
Talvolta, la loro opera discreta finisce anche sui giornali, come avvenne quando l'elemosiniere si occupò di pagare le bollette della luce per gli abitanti del palazzo occupato a Roma dove abitano decine di famiglia rifugiate, lo Spin time. Oppure quando accompagnato dai volontari della Guardia Svizzera Pontificia, con il furgone dell'Elemosineria targato Scv, si è recato al centro di accoglienza Baobab di Roma. Consegnarono scatole di viveri: pasta, latte, riso, biscotti, olio. Destinatari di questi doni del Papa gli immigrati profughi in attesa di asilo che erano ospitati nella struttura. Una frequentazione al Baobab che portò nel centro altri doni di Francesco: cinquanta chili di farmaci anti scabbia (appositamente preparati dalla Farmacia Vaticana), cento confezioni di antibiotici e antistaminici e cinquanta pomate antimicotiche, poi distribuiti dai volontari dell'associazione Medicina solidale e dell'Unitalsi. Del resto, "il Vangelo parla dell'uomo che lascia le novantanove pecore per mettersi in cerca della centesima smarrita. Ecco, la carità del Papa è questa: lasciare tutto per raggiungere i lontani, perché, come dice Gesù, 'neanche uno di questi piccoli si perda'".
L'ultima donazione è per i minori detenuti a Roma
Papa Francesco ha recentemente donato a mons. Benoni Ambarus, responsabile della carità e della pastorale carceraria a Roma, 200mila euro per il pastificio del carcere minorile di Casal del Marmo. Lo rivela lo stesso 'don Ben', come lo chiamava Papa Francesco. "Gli avevo detto che abbiamo un grosso mutuo per questo pastificio e se riusciamo ad abbatterlo abbassiamo il prezzo della pasta, ne vendiamo di più e assumiamo altri ragazzi. Lui mi ha risposto, 'ho finito quasi tutti soldi ma ho qualcosa ancora sul mio conto'. E mi ha dato 200mila euro", dice mons. Ambarus all'ANSA.
Il vescovo ricorda l'apertura della Porta Santa a Rebibbia. Quando il Papa disse: "Don Ben vieni con me" e insieme cominciarono il Giubileo. "Io per lui sono stato solo 'don Ben', credo che neanche sapesse il mio nome e cognome. E' stato emozionante ma soprattutto per quella gente. Si sono sentiti 'visti'. Da lunedì mi arrivano in continuazione messaggi di chi dice di sentirsi orfano. Ieri alcuni detenuti mi hanno chiesto di mettere sulla tomba di Francesco un fiore da parte loro". "E invece - annuncia il vescovo ausiliare di Roma, senza entrare nei dettagli - sto lavorando perché i suoi figli prediletti possano essere ai funerali. Vedremo che cosa riusciremo a fare".
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