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Cenk Ergun, l'ex ds del Galatasaray che tra i primi ha introdotto i big data in Turchia: "Mancini portò da noi la tecnologia. Dallo scouting agli schemi per le palle inattive l'intelligenza artificiale sta prendendo sempre più piede e ci aiuta, ma con Victor non ci ha preso. E vi spiego perché"
Francesco Maletto Cazzullo
2 agosto - 09:24 - MILANO
Lo sport è sempre meno istinto e sempre più algoritmo. L’intelligenza artificiale, che secondo le stime supererà i 10 miliardi di dollari di valore globale entro la fine del 2025, sta rivoluzionando ogni aspetto dell’attività sportiva: dalla prevenzione degli infortuni al fan engagement, dalla logistica alla tattica. E il calcio, in particolare, è diventato un laboratorio d’innovazione. Il Liverpool la usa per preparare le palle inattive, mentre nella Nba si impiega per studiare gli infortuni più ricorrenti, mentre in Italia si sperimentano sensori e software per migliorare le prestazioni degli atleti. Ma nel cuore di questa rivoluzione rimane una domanda: può un dato sostituire l’intuizione umana? Cenk Ergun, ex direttore sportivo del Galatasaray con cui ha vinto tutto, è convinto che la risposta sia no. È stato uno dei primi in Turchia a credere nella digitalizzazione del calcio — introducendo Gps, analisi dati e tracciamenti — ma è anche colui che ha detto sì all’acquisto di Victor Osimhen quando i big data lo sconsigliavano. Un’intuizione che ha portato il club a vincere il campionato.