
Leggenda dell’Università dello Utah, seconda scelta al draft 1997 dietro a Duncan e primo bianco sulla copertina di Slam, dopo cinque stagioni ai Nets ha vissuto un percorso Nba in quattro squadre diverse. Oggi allena e gestisce la “Colorado Premier Basketball Club”, il programma giovanile che ha fondato in Colorado
Rick Majerus, il coach dell'Università dello Utah coi calzettoni sempre tirati fin sopra il ginocchio, lo guardava in silenzio con l'aria di chi aveva scovato una pepita d'oro. Stagione dopo stagione, il ragazzo che guardava tutti dall'alto dei suoi due metri e otto e dal basso dell'umiltà che hanno i grandi, inizialmente inconsapevoli di essere tali, avrebbe dimostrato di saper distinguere il metallo nobile dei suoi valori dall'ottone del clamore, del battage pubblicitario, dei contratti che pretendono di misurare il valore di un individuo e di quel soprannome banale: "The great white hope" che dice tanto della storia americana, ancora prima che di quella del basket. Perché non è mai soltanto per il basket che si attende un nuovo Larry Bird: è una mancanza di rispetto, inconsapevole o no, verso il basket e verso Bird. Veniva dalla California, il ragazzo; il freddo dell'Utah lo avrebbe combattuto più che altro con l'intensità del suo perfezionismo durante gli allenamenti. Se per altri giovani promettenti i rimbalzi della palla sul parquet scandivano i passi di un'ambizione, per lui erano innanzitutto rintocchi d'interiorità. Non vi sembri, questo, un incipit romanzato della sua storia: Keith Van Horn, cinquant'anni oggi, ha sempre dimostrato che il perseguimento del meglio di sé non sarebbe passato soltanto attraverso il successo che era di là da venire e che sarebbe arrivato. - Quel ragazzo non gioca. Costruisce un destino -: coach Majerus era convinto di avere ragione; senza sapere quanto profetica si sarebbe rivelata quella sua espressione.