Irama: "Vi racconto la mia 'Antologia'. San Siro? Sarà grande show"

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Il cantautore parla del nuovo album ‘Antologia della vita e della morte’, in uscita per Warner Music Italy, tra racconti personali e simbolici con i feat. Di Elodie, Giorgia e Achille Lauro

'Antologia della vita e della morte', il nuovo lavoro di Irama, in uscita il 17 ottobre per Warner Music Italy, è un disco che sporca e guarisce, trovando forza nella fragilità. Una raccolta di racconti che si muovono tra eros e malinconia, rabbia e disillusione, amore e odio. Il titolo sembra racchiudere tutto ciò che fa parte dell’essere umano - e che il cantautore, al secolo Filippo Maria Fanti, descrive come "un insieme di racconti della vita e della morte, in tutti i sensi". Personali, simbolici, mitologici. Un dualismo antico come il mondo, dallo yin e yang fino a Fabrizio De André e Spoon River, che lo stesso Irama ci ha raccontato a qualche giorno dalla pubblicazione dell'album.

'Antologia della vita e della morte”'è un titolo molto importante. Da dove nasce e che tipo di 'antologia' hai voluto costruire?

"L’antologia è un insieme di racconti, no? Io ho preso ispirazione tanto anche dai miti con cui sono cresciuto. Se penso a De André, che ha preso l’'Antologia di Spoon River' e ci ha fatto un disco, diciamo che sono sempre stato molto influenzato da quel mondo lì. Mi è sembrato naturale chiamarlo così, perché è davvero un insieme di racconti della vita e della morte, in tutti i sensi: sia a livello personale che narrativo. Se penso a canzoni come 'Circo' o 'Mi mancherei moltissimo', rappresentano in toto il concetto di morte in quel momento della mia vita. Altre canzoni invece hanno sfumature di luce, come Il giorno o altri pezzi che rappresentano una visione diversa della vita. Il disco si basa su un dualismo, forse il più antico del mondo, ripreso da tutte le culture: dallo yin e yang, il concetto di vita e di morte. È un insieme di racconti, quindi mi sembrava giusto mettere insieme questi due elementi nel titolo".

E in quest’antologia quanto c’è di Filippo e quanto di Irama?

"È uguale, è la stessa cosa. Non sono mai riuscito a scindere le due parti, e questo è stato sia un pro che un contro. Il mio non è un progetto discografico in senso stretto. Da quando avevo 17-18 anni, quando ho iniziato a farmi conoscere, sono sempre stato me stesso. Ho sempre avuto molta libertà artistica, sia nelle scelte più semplici che in quelle più complesse".

Nel brano 'Il giorno' dici che ti ha ispirato Cesare Pavese. Chi altri ti ha influenzato di più a livello artistico per questo album?

"Lì era il concetto del dolore, qualcosa che ti scava dentro. Il disco ha avuto una gestazione lunga: sono passati tre anni da quando ho iniziato a scriverlo, e per i tempi discografici di oggi sembra un secolo. Ma per me è stato il tempo giusto per metabolizzare tante cose. Ho anche pubblicato di recente un video dove racconto la mia insicurezza, senza maschere. Cercavo qualcosa di perfetto, ma è un’utopia, e ho deciso di dirlo apertamente. Dentro ci sono tre anni di vita, di letture, di storia. Alcuni brani si ispirano anche al mondo ellenistico. Era il momento giusto per farlo uscire".

In questo disco sembri guardare la vita con più consapevolezza, ma ci sono anche amore, odio, rabbia, disillusione. È un modo per scrivere un nuovo capitolo della tua musica?

"Sì, ogni disco rappresenta un lascito, un frammento di sé. È sicuramente un nuovo capitolo, figlio di esperienze precedenti, ma con una sfumatura più personale. Sono sempre stato un artista eclettico, mi piace usare tanti colori, ma in questo album, a parte piccole eccezioni, c’è un vero fil rouge, anche a livello sonoro. È un disco molto suonato, organico".

Ci sono anche dei feat importanti, come 'Ex' con Elodie. Che tipo di alchimia si è creata tra voi in studio?

"Con lei mi trovo bene, sia a livello personale che artistico. Volevamo fare qualcosa insieme da tempo e questa canzone è stata l’occasione giusta. Sono molto contento di come è stata accolta. È stato bello anche lavorare sul video: racconta qualcosa a livello d’immagine e artistico, e mi è piaciuto molto".

E il feat con Giorgia?

"Giorgia è bravissima, ha una voce bellissima. Condividere con lei una ballad è stato emozionante. E poi Achille Lauro, un artista che stimo molto e con cui ho un grande rapporto di amicizia, ha fatto un pezzo, scusa il francesismo, assurdo".

Infatti parlando di 'Arizona' hai detto "questa canzone è sesso". Cos’è che ti unisce ad Achille Lauro e cosa vi distingue?

"Ci unisce il rispetto reciproco. In studio c’è una grande sintonia, una bella complicità artistica. Ci distingue il fatto che siamo due identità completamente diverse, ma ognuno racconta la propria forma in modo autentico, e credo che questo arrivi alle persone".

'Mi mancherai moltissimo' è una delle tue canzoni preferite in assoluto. Cosa volevi davvero raccontare in quel brano?

"Per me è la canzone più importante del disco. È un brano pesante, che tratta un tema profondo e delicato. L’ho affrontato con grande rispetto, cercando di non superare una certa soglia. Mi piace molto anche la parte strumentale, curata con Davide Rossi, che amo follemente come artista. Abbiamo lavorato insieme sugli archi finali e sulla melodia: è stato un momento molto profondo. È una canzone che mi taglia, che mi lascia qualcosa di fortissimo, come poche altre volte mi è successo. È personale, come 'Ovunque sarai': spero che arrivi anche alle persone".

Hai mai vissuto da vicino un momento così difficile, con qualcuno che ha fatto un gesto estremo?

"Ci sono tante persone che lo fanno. È qualcosa che fa parte dell’essere umano da sempre, e persino del regno animale. La difficoltà sta nel trattarlo con rispetto, con delicatezza. Spero di averlo fatto nel modo giusto, senza mancare di sensibilità. È un territorio difficile, ma fa parte della vita e della morte, quindi dell’antologia stessa".

Dopo il sold out all’Arena di Verona, nel 2026 ti aspetta San Siro. Ti fa paura la parola 'consacrazione' o la vivi come un passaggio naturale del tuo percorso?

"Le cose importanti hanno sempre bisogno di tempo. Bisogna rimboccarsi le maniche, costruire con purezza, perché la musica non è business. L’importante è arrivare preparati, con la musica giusta, con i musicisti giusti e un bel repertorio. Mi piace l’idea di entrare sul palco e cantare per chi mi vuole bene, preparando lo show più incredibile possibile. Non mi spaventa: sarà una celebrazione della musica, mia e di chi lavora con me, un momento di condivisione e di emozione".

Cosa devono aspettarsi i fan? Come ti vedranno?

"Vedranno uno show vero. Mi piace la forma spettacolo negli spettacoli, anche se oggi si tende a rendere tutto più minimal. Io invece voglio portare qualcosa di vario, un’esperienza indimenticabile, ricca di elementi e di emozioni".

Sanremo è stato un punto cardine del tuo percorso. Ti sei sempre posizionato bene, anche l'anno dello 'smart working' ma non hai mai tagliato il traguardo della vittoria. L'hai vissuta come sconfitta o come trampolino di lancio?

"Nessuna delle due. Non l’ho mai vissuta né come sconfitta né come trampolino. Sanremo è una macchina costruita fin da sempre, ed è difficile analizzarla. La cosa più bella è la musica che arriva alle persone: spero che sia rimasta qualcosa. Le dinamiche sono tante, ma non è qualcosa che mi toglie il sonno. L’ho affrontato con amore e rispetto per la musica".

Oggi tutti parlano di autenticità. Secondo te cosa significa davvero questa parola?

"L’autenticità è importante, ma nell’arte conta che arrivi qualcosa. È una grande macchina. Se pensi al teatro, un tempo gli uomini interpretavano le donne, eppure era autentico. O a De André, che raccontava fatti di cronaca come La canzone di Marinella: non li aveva vissuti, ma erano autentici. Quindi l’autenticità non deve per forza coincidere con la semplicità o la realtà diretta. La semplicità è la cosa più ricercata e difficile da raggiungere nell’arte. Io non vedo l’autenticità come il fattore chiave, ma la professionalità".

C’è un artista con cui sogni di collaborare, che magari nessuno si aspetterebbe?

"Adesso no, ma mi piacerebbe tanto lavorare con Diego El Cigala. Mi affascina quel mondo, e mi sarebbe piaciuto collaborare anche con Bebo, che purtroppo non c’è più. C’è un disco che amo, Lágrimas Negras, eccezionale. Ultimamente sto ascoltando molto anche Camarón de la Isla, che ha ispirato Cigala: quel mondo mi sta catturando. Le sue sonorità sono incredibili. Non sogno tanto di collaborare, quanto di addentrarmi in quel linguaggio e studiarlo, perché è bellissimo".

Magari poi ti influenzano anche?

"Sì, tutto mi influenza. Quando qualcosa è bello, cerco sempre di 'rubare' in senso positivo, di imparare". (di Federica Mochi)

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