I messaggi minatori, i Navy Seals, Mou e Pep: Eddie Jones, follia al servizio del rugby

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Col Giappone ha già battuto il Galles una volta. Ci riprova nella partita più importante dell’anno. Lavorare con lui è quasi impossibile, ma quando trova la quadra fa miracoli, e coi nipponici ci è già riuscito una volta

Francesco Palma

12 novembre - 15:37 - MILANO

C’è un Galles che sta provando disperatamente a uscire da una crisi che pare irreversibile e un Giappone che vuole tornare grande come 10 anni fa: nel mezzo una sfida – sabato prossimo alle 18.40 – che vale un posto in seconda fascia nei sorteggi del Mondiale. L’uomo chiave di questa partita sarà colui che siede sulla panchina dei nipponici: Eddie Jones. Personaggio unico nel suo genere: amato, odiato, provocatore, accentratore, geniale. Quando parla non sai mai se dice davvero quello che pensa o se ti sta prendendo in giro. Australiano ma di madre giapponese (e da quelle parti vorrebbero fargli una statua) Eddie Jones è ossessionato dal rugby: dorme 4 ore a notte, studia ogni partita abbia per le mani, segue ogni giocatore che possa interessargli (e se non gli interessa solitamente glielo dice senza troppe carinerie). Dopo la finale persa con l’Australia ai Mondiali 2003 contro l’Inghilterra rimase chiuso in casa per 3 giorni a rivedere continuamente la partita, per capire cos’era andato storto. Del resto il suo mantra è: “Dopo una sconfitta devi sederti, da solo, e ammettere di aver fallito”. Il rugby per lui è una ragione di vita, e forse anche una rivincita personale: per via dei suoi lineamenti asiatici a scuola lo chiamavano “nip”, un insulto razziale utilizzato soprattutto in Australia e negli Stati Uniti per apostrofare i giapponesi. Lo utilizzavano i soldati americani e britannici nella seconda guerra mondiale per insultarli. E anche questo, probabilmente, ha forgiato il suo carattere così spigoloso.

caratteraccio

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Quando un ragazzo del giro della Nazionale giocava male nel proprio club, tornato negli spogliatoi si ritrovava un messaggio direttamente da parte di Jones: “Hai fatto schifo, hai perso un’occasione”. Sempre se non lo chiamava direttamente all’alba, svegliandolo con una sfuriata. C’è chi lo ama e chi non lo sopporta, o anche entrambe le cose contemporaneamente. In Giappone c’è sicuramente una prevalenza del primo partito: del resto, prima di lui nessuno avrebbe mai pensato che i Brave Blossoms sarebbero diventati una nazionale rugbisticamente credibile, e ora lo sono anche grazie a lui. In Australia – dov’è nato e cresciuto – la questione è più complicata: coi Brumbies ha vinto uno storico titolo nel 2001, poi con i Wallabies ha sfiorato il Mondiale, perdendo quell’ormai celebre finale del 2003 decisa dal drop di Jonny Wilkinson. Il ritorno sulla panchina australiana, nel 2023, è stato però un disastro: non è mai entrato in sintonia col gruppo, ha litigato con tutti, ha fatto scelte incomprensibili ed è uscito ai gironi perdendo con le Figi e prendendo 40 punti dal Galles. In Inghilterra è riuscito a farsi amare e odiare contemporaneamente: ha preso una Nazionale sull’orlo del baratro appena eliminata nella fase a gironi del Mondiale 2015, giocato in casa, e l’ha riportata nel rugby che conta, vincendo il Sei Nazioni e arrivando in finale nel Mondiale del 2019, persa solo contro un Sudafrica ingiocabile. Il momento più bello? La semifinale con gli All Blacks, umiliati. I neozelandesi non videro palla per 80 minuti, ingabbiati dalla ragnatela che Eddie Jones aveva sapientemente costruito. Quella partita fu ispirata da una frase di Sir Alex Ferguson, uno dei “maestri” di Eddie Jones. Ferguson diceva “se c’è troppa pressione non tirate, aspettate e createvi un’altra occasione”, e l’Inghilterra di Jones usava lo stesso principio: giocare senza mai forzare, cuocere a fuoco lento gli avversari e poi demolirli. I giocatori lo seguivano, nonostante tutto: appena arrivato, nel 2016, fece una pulizia senza precedenti. Tra quelli cacciati e quelli scappati dalla Nazionale per non dover avere a che fare con lui la lista è talmente lunga che l’ala Jonny May in raduno improvvisava una canzone per ricordare i “caduti” di Eddie Jones. Ne sa qualcosa il povero Mike Brown – ottima ala – fatto fuori dopo un’obiezione in allenamento che in pochi secondi portò a una raffica di “f**k” reciproci e all’addio alla Nazionale.

navy seals, il calcio e la pressione costante

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Secondo Eddie Jones il valore di un giocatore si capisce “solo quando lo metti sotto pressione”. E in questo lui è maestro. I suoi metodi di allenamento sono sempre stati al limite: una volta sperimentò addirittura le esercitazioni militari dei Navy Seals, le stesse che utilizzavano per preparare la cattura di Osama Bin Laden. Detto di Sir Alex, Eddie Jones ha avuto altri due maestri nel mondo del calcio: uno è José Mourinho, dal quale ha imparato ad attirare l’attenzione mediatica su di sé, a creare un nemico per alzare la tensione e spostarla dalla partita. E poi c’è Pep Guardiola: “Lo vidi in uno dei suoi primi allenamenti quando allenava il Bayern Monaco. In 20 minuti aveva già trasmesso tutta la sua filosofia, lo seguivano anche i campioni come Robben, nonostante fossero tutti sfiniti”. Prendere Eddie Jones è come lanciare una monetina: testa, ti porta nell’olimpo del rugby, croce, ti fa implodere lo spogliatoio. L’ultima volta in Australia è uscita croce, prima in Inghilterra è uscita testa, ma è durata troppo a lungo e alla fine una bellissima favola (dal 2016 al 2020) si è trasformata in una logorante agonia fino al 2022: “È il miglior allenatore che abbia mai avuto in carriera, ma a un certo punto ne avevo abbastanza. Chiunque sembrasse anche solo leggermente fuori forma aveva le stesse possibilità di sopravvivere di uno gnu in un branco di leoni, per non parlare dei suoi messaggi alle 6 del mattino che fanno stringere le p***e e squagliare il cervello” disse di lui Dylan Hartley, capitano dell’Inghilterra nel 2016 e 2017 scelto proprio da Jones. Lo stesso Jones che poi un anno dopo lo fece fuori senza mezzi termini: vide dei test atletici che non gli piacevano, gli disse tre parole – “Amico, sei fot***o” – e nessuno lo ha più rivisto in Nazionale.

dentro o fuori

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I risultati che ha ottenuto in carriera parlano da soli, anche se quelli degli ultimi anni non sono sempre stati all’altezza del suo passato. Un disastro sulla panchina dell’Australia – ma considerando che i Wallabies combinano poco o nulla da 4 anni, non è solo colpa sua – poi il ritorno sulla panchina del Giappone, con un inizio complicatissimo e tante brutte sconfitte. Il 2025 dei nipponici, però, è stato in crescita: il Giappone ha battuto il Galles proprio questa estate, e due settimane fa ha mandato nel pallone proprio l’Australia nel diluvio di Tokyo, perdendo solo 19-15 e sfiorando un altro colpaccio. Eddie Jones, che ama esagerare, dice che questo Giappone è più forte di quello di 10 anni fa che vinse al Mondiale contro il Sudafrica, e forse potenzialmente potrebbe anche esserlo. Per farlo, però, serve un’altra vittoria, questa volta in trasferta in casa di un Galles che non può più sbagliare. I Dragoni sono 12esimi nel ranking, i giapponesi 13esimi: chi vince si prende il 12esimo posto e la seconda fascia nei sorteggi del Mondiale. Sarà anche una sfida tra allenatori: da una parte Steve Tandy, che ha sempre fatto l’assistente (con ottimi risultati in Scozia come allenatore della difesa) e garantisce freschezza e innovazione, ma è all’esordio da c.t. di una Nazionale, e dall’altra parte uno dei tecnici più scafati ed esperti del mondo, anche se meno incline ad aggiornarsi e a mettersi in discussione. L’uomo chiave di Galles-Giappone però è proprio lui, l’istrionico e insopportabile Eddie Jones, che sta già pensando a come ingabbiare il Galles una volta per tutte.

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