(di Lucia Magi)
In 'Jay Kelly', George Clooney
interpreta una star del cinema molto simile a George Clooney.
Attore hollywoodiano popolare e apprezzato da oltre trent'anni,
con una serie di drammi e action movie di successo alle spalle e
vari premi sugli scaffali, il protagonista dell'ultimo film di
Noah Baumbach per Netflix sembra costruito attorno al
sessantaquattrenne due volte premio Oscar. Ha lo stesso fascino
spavaldo e rassicurante, stessa prontezza di spirito ed
eleganza.
Eppure Jay Kelly è un uomo in crisi di identità, che si
guarda indietro (e attorno) e si scopre solo, come chi
sull'altare la carriera ha sacrificato famiglia, amici e
collaboratori. "Molte persone mi hanno detto: 'È come se
interpretassi te stesso', riflette il divo in conferenza stampa
a Los Angeles. "E invece no. Io non ho i rimpianti che ha questo
personaggio. I miei figli hanno otto anni e per ora mi vogliono
bene. Sono in buoni rapporti con tutte le persone con cui ho
lavorato, ci rispettiamo e continuo a collaborarci. Ho una vita
molto diversa dalla sua. Dai, Jay Kelly è uno stronzo", ride
provocando l'ilarità dei critici che riempiono la sala del
Beverly Hills Hotel.
Nella sequenza iniziale, Clooney-Kelly è sul set e sta
girando la sua morte. Ferito all'addome, accasciato contro un
palo, con un'insegna neon della Pepsi-Cola sullo sfondo, solo il
suo cane a leccargli la mano. Quando il regista urla 'stop!',
lui chiede di poter fare la scena ancora una volta, per
migliorarla. È la battuta che tornerà più volte nel film e che
ne racchiude il senso. L'attore si accorge di aver bisogno di un
altro ciak nella vita: rifarebbe le cose in modo diverso,
presterebbe più attenzione a vecchi amici che gli chiedono una
mano, resterebbe a guardare le figlie improvvisare per lui uno
spettacolo in giardino, invece che lasciare la stanza con dei
copioni nella borsa.
"Mi hanno detto che è come se guardassi allo specchio me
stesso. Non l'ho mai vista così. Non mi ci sono immedesimato.
Jay Kelly è un po' come Frankenstein, che uccide una bambina
perché pensa di star giocando. Il mio personaggio passa la vita
a distruggere beatamente quella degli altri, li usa o li ignora.
Quello che mi interessava era renderlo reale, simpatico al
pubblico, nonostante tutto. Per fortuna di questo si sono
occupati il regista, la sceneggiatura (scritta dallo stesso
Baumbach ed Emily Mortimer, che interpreta anche la truccatrice
personale della star) e i miei straordinari compagni di cast".
Chiamato in causa, interviene Baumbach: "Penso che ognuno di
noi, qualunque sia il nostro lavoro, da giovane abbia creduto di
avere tutto il tempo del mondo a disposizione. Facciamo scelte
con l'idea che ci sarà un'altra occasione, che più avanti avremo
diritto a riprovare. Questo film parla del momento in cui ci
rendiamo conto — in modo insieme ovvio e scioccante — che invece
questa è l'unico tentativo che abbiamo. Che è buona la prima,
non ci sono altri ciak. Jay arriva a capirlo in modo contorto,
doloroso e imprevedibile: deve fare i conti con le scelte che ha
fatto. E ora, cosa ne farà?".
Sono domande che consumano anche il suo storico manager Ron
(Adam Sandler), la spietata addetta stampa Liz (Laura Dern) e
gli altri vassalli dello showbiz che gli orbitano attorno, salvo
lasciarlo solo nella campagna toscana a inseguire un padre
distaccato e i fantasmi delle figlie che non lo vogliono vicino.
In questo Clooney, comodamente seduto sulla poltrona, le
gambe accavallate e il sorriso soddisfatto e pacifico, sembra
quanto di più lontano dal protagonista che dà il titolo al film.
"Da giovane tagliavo tabacco per tre dollari l'ora. Quando
sentivo qualche attore famoso lamentarsi della propria vita,
pensavo: ma vaffanculo, lo vedi cosa sto facendo io? Nella vita,
nella carriera, sono stato davvero fortunato. Non potrei mai
lamentarmi. A 64 anni ancora mi regalano ruoli così. Certo, con
l'età ci sono cose che non puoi più fare, ma è sempre molto
meglio che tagliare tabacco".
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