Fenomeno 'dupe', il duplicato spopola e rende più desiderabile il vero marchio di lusso

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Marchi e contraffazione, qual è il rapporto? C'è un trend 'dupe' da spiegare. Vuol dire duplicato, copia ma anche sostanzialmente fake, falso, inteso come appunto 'come vero', con un implicito inganno ma anche, questo è un elemento importante, copie ispirate a prezzo più basso. E tra le giovani generazioni si parla di "cultura del dupe": la caccia al "super falso" è anche una forma di resistenza: la Generazione Z sta chiaramente reagendo all'esclusione sociale che il lusso ha a lungo rappresentato. Vogliono adottare i codici del lusso, senza pagarne il prezzo simbolico.

Borse 'finte', magliette 'finte' ma anche profumi 'finti' e così via: c'è tutto un mondo di contraffazione di grandi marchi che viola regole commerciali e copyright ma che prospera e va spiegato nella sua complessità e anche dinamicità, senza per questo approvarlo. Si oscilla sostanzialmente tra due poli: il contraffatto e il duplicato. Il trend infatti non riguarda solo i falsi illegali, ma anche le versioni low cost di prodotti iconici, che promettono effetti simili a costi più contenuti.

Innanzitutto l'origine del trend: dalla fine della pandemia, il potere di determinazione dei prezzi – la capacità dei marchi di imporre aumenti di prezzo – si è intensificato nel settore del lusso. Con l'aumento dei prezzi, le alternative low cost si sono moltiplicate, soprattutto online. Questa tendenza ha alimentato l'ascesa di un nuovo comportamento di consumo tra le giovani generazioni: l'acquisto di "dupes" (contrazione del termine inglese "duplicate").

Dal suo osservatorio dei trend che influenzano e modificano i consumi a livello globale, FutureBrand, ha approfondito il tema scoprendo che la contraffazione non spegne i brand di lusso, ma li rende, anzi, ancora più desiderabili. In particolare, settori come moda e tecnologia stanno imparando a cavalcare l’ombra del loro “doppio”.  “Prendiamo uno dei casi più rappresentativi del fenomeno: Louis Vuitton” – afferma Francesco Buschi, Head of Strategy di FutureBrand – “Le borse taroccate vendute sulle spiagge italiane negli anni 2000 non hanno ridotto le vendite degli originali. Anzi. Quelle copie, esibite come status symbol temporaneo, hanno reso la sigla ‘LV’ onnipresente, visibile, riconoscibile. Più era facile incontrare una ‘Louis’ in giro — vera o finta che fosse — più cresceva il desiderio di possederne una autentica. Studi internazionali hanno confermato che la diffusione del falso può perfino aumentare l’appeal dell’originale. È un po’ come una pubblicità non ufficiale, un linguaggio comune che tutti imparano a parlare. Ma il falso ha anche un’altra funzione, più mondana e maliziosa: far sentire furbi. È la scorciatoia che consente di esibire un’appartenenza senza pagarne il prezzo pieno, l’inganno sottile di chi mostra di stare in un mondo che, in realtà, non può permettersi”.

Alcuni dati

È importante conoscere le dimensioni del fenomeno “fake” in Europa: la Commissione Europea e l’EUIPO (Ufficio dell'Unione Europea per la Proprietà Intellettuale) calcolano che nel 2024, le autorità doganali e di sorveglianza del mercato dell'UE hanno sequestrato oltre 112 milioni di articoli contraffatti, per un valore al dettaglio stimato di 3,8 miliardi di euro. In un rapporto congiunto, l’OCSE e l’EUIPO hanno stimato che nel 2021 il valore delle merci contraffatte importate nell'UE ammontava a 117 miliardi di dollari USA, pari al 4,7% delle importazioni totali dell'UE.

Anche la tecnologia si copia: il fenomeno del clone non appartiene solo alla moda. Nel mondo della tecnologia, quante cuffie, smartwatch o accessori Apple contraffatti circolano? Milioni. Così tanti, che YouTube e TikTok pullulano di video di nerd che spiegano come riconoscere i pezzi originali dalle imitazioni. Tutto questo non ha intaccato la capacità di Cupertino di vendere i pezzi originali. Al contrario: ha reso i suoi prodotti ancora più desiderati. Anche nel settore della tecnologia, la contraffazione non sostituisce il brand: lo rafforza. Alimenta il sogno, aumenta la familiarità, abbassa la barriera d’ingresso psicologica. Una volta che il consumatore può permetterselo, sceglierà l’originale.
C’è però un punto interessante e dalle implicazioni più profonde: oggi, la percezione di ciò che è aspirazionale e ciò che non lo è, è cambiata. Non basta esibire un maxi-logo per sentirsi parte di un mondo. L’appartenenza si gioca su altri registri: culturali, valoriali, di lifestyle. Gucci, per esempio, non costruisce più l’intera narrativa sul suo monogramma, ma su estetiche ibride, contaminazioni culturali, creatività condivisa. Vedremo come evolverà anche Balenciaga che sotto la direzione creativa di Demna aveva trasformato il proprio nome nel prodotto. In questo contesto anche il falso cambia pelle. Non basta più ricamare un logo per ingannare: bisogna replicare un universo estetico complesso, fatto di infinite sfumature. Un compito più difficile, che rende il vero ancora più prezioso.

Il nuovo palcoscenico: i social e i “dupe”
Parlando di duplicati, questi prodotti, che traggono ispirazione dai codici del lusso pur rimanendo nel rispetto delle leggi sulla contraffazione, sono particolarmente apprezzati dalla Generazione Z (nati tra la fine degli anni '90 e l'inizio del decennio 2010), che si prevede rappresenterà quasi il 30% degli acquisti di lusso entro il 2030. Secondo un sondaggio del 2023 condotto da Business Insider e YouGo , il 70% degli intervistati della Generazione Z ha dichiarato di aver acquistato "occasionalmente o molto regolarmente" prodotti duplicati nell'ultimo anno. Fortemente influenzati da piattaforme di social media come TikTok, dove l'hashtag #dupe conta oltre 6 miliardi di visualizzazioni, questi giovani consumatori mostrano con orgoglio le loro scoperte. Ma questi acquisti sono sempre effettuati consapevolmente? Dove si trova esattamente il confine tra un prodotto duplicato e una semplice tendenza della moda?
Il fenomeno vive e prospera sui social. Il trend #dupe è esploso, milioni di utenti mostrano alternative low cost a prodotti iconici, dal fondotinta Dior alle sneakers Balenciaga. In molti casi non si tratta di copie spudorate, ma di “ispirazioni” che si vendono come scorciatoie democratiche al lusso. Questi video non indeboliscono i brand, li rafforzano, perché rendono virali prodotti che, senza quella risonanza, sarebbero rimasti confinati a pochi. È il falso che diventa contenuto.

Su Luxury Tribune che ha dedicato un focus al tema si leggono testimonianze interessanti per saperne di più. Per Louana, studentessa parigina di 24 anni e appassionata di moda, scegliere un dupe è una decisione ponderata: "Se compro un dupe, lo faccio sempre con piena consapevolezza ma scelgo comunque prodotti di qualità e sono disposta a spendere una certa cifra. Ad esempio, di recente ho comprato un paio di ballerine ispirate a un modello iconico di una grande maison per 270 euro, mentre l'originale costa il triplo". Per Louana, trovare un'alternativa a un prodotto che ritiene troppo costoso è appagante: "La nostra generazione è sempre alla ricerca di un buon affare. I duplicati stanno diventando sempre più accettati e normalizzati tra noi, soprattutto quando si tratta di marchi che sono già scontati nei punti vendita o su piattaforme come Arlettie o The Bradery. Inconsciamente, il loro valore percepito diminuisce. Senza contare che il calo di qualità ci spinge ad acquistare imitazioni. Da quando ho scoperto alcuni dei metodi di produzione utilizzati da alcuni marchi, ho iniziato a scoraggiarmi. I prezzi continuano a salire, mentre la qualità non sempre segue l'esempio. In queste condizioni, comprare nuovo è difficile: preferisco rivolgermi al vintage e quando si tratta di un dupe, se la qualità è buona e il prezzo è giusto, sono completamente soddisfatta dell'acquisto".

Osserva Alain Quemin, professore di sociologia specializzato in arte e lusso all'Università Paris 8: "In un momento in cui i principali marchi del lusso si trovano ad affrontare crescenti critiche – per le condizioni di lavoro, l'outsourcing e la distruzione dei beni invenduti – la legittimità del pagamento del prezzo pieno è sotto severa verifica. Scandali come quello che ha coinvolto Moncler lo scorso anno, accusato di aver venduto giacche fino a 30 volte il loro costo di produzione utilizzando piumino d'oca spiumato vivo, o video virali su TikTok che denunciano la produzione cinese di beni di lusso, stanno minando l'immagine di un artigianato d'eccezione. Sono proprio questo tipo di rivelazioni pubbliche che svalutano i prodotti di lusso e scoraggiano i consumatori dal pagare il prezzo pieno", afferma Quemin. "Quando un marchio di lusso vende un prodotto con un ricarico di 30 volte, non c'è da sorprendersi che venga facilmente copiato a prezzi molto inferiori. Questo mette in discussione la legittimità di questi margini". Ci chiediamo se la qualità dell'ultra-lusso sia davvero migliore: il fenomeno dei dupes sfida i codici del lusso, mentre i marchi si aggrappano disperatamente alla propria immagine per mantenere la propria legittimità". 

Nata nell'era del fast fashion negli anni '90, questa generazione è cresciuta con l'idea che il "lusso accessibile" fosse ovunque. Ora stanno facendo un ulteriore passo avanti: "Grazie a Internet, è molto più facile accedere a questi articoli e l'esperienza di acquisto assomiglia molto a quella del lusso",  dice Quemin. "Siamo lontani dai tempi in cui si compravano prodotti contraffatti da venditori ambulanti poco raccomandabili".

In sostanza, la caccia al "superdupe" è anche una forma di resistenza: "La Generazione Z sta chiaramente reagendo all'esclusione sociale che il lusso ha a lungo rappresentato. Vogliono adottare i codici del lusso, senza pagarne il prezzo simbolico", conclude.

Diesel e il falso vero: un colpo di genio

Il caso Diesel è paradigmatico nel dimostrare il potere del brand sulle sue imitazioni. Nel 2018, Diesel aprì un chiosco a New York che vendeva t-shirt con la scritta “DEISEL”. Non erano copie, ma prodotti originali disegnati apposta per sembrare falsi. Un’operazione di marketing brillante: ironica come Diesel, virale, capace di celebrare il successo del marchio proprio attraverso il suo doppio. Lì sta il punto: non si tratta di negare l’esistenza del falso, ma di capovolgerlo, di usarlo per alimentare la narrativa dell’originale. L’operazione di Diesel ci ha rivelato un dato importante: se la contraffazione è l’ombra inevitabile di ogni marchio di successo, in quell’ombra c’è anche una verità scomoda: senza falsi, forse l’originale non sarebbe così desiderato. L’esclusività è il motore del sogno e il falso, paradossalmente, è la prova tangibile di quanto quel sogno sia potente. Quindi, per i brand, la sfida non è solo combattere i cloni, come legittimamente devono fare, ma continuare a nutrire l’universo aspirazionale che rende l’originale irrinunciabile. Perché alla fine, chi compra il falso sogna il vero.

Non tutti i brand reggono l’ombra del falso
Ovviamente, i ragionamenti sulla celebrazione della marca attraverso la sua copia valgono solo quando la marca è forte, strutturata e con un immaginario solido alle spalle. Se invece parliamo di brand passeggeri, che cavalcano mode temporanee senza costruire un vero universo simbolico, allora la copia funziona come un acceleratore di consumo. Non celebra, brucia e si consuma in un lampo. È ciò che è accaduto, per esempio, a marchi streetwear come Guru, con il celebre fiore degli anni 2000, o a Von Dutch, che tra cappellini e loghi vistosi ha vissuto un picco clamoroso per poi quasi scomparire. In questi casi, la copia non rafforza: rende evidente la fragilità del brand e ne accelera il declino.

Il prossimo capitolo: la Cina originale
C’è un ultimo passaggio da considerare: la Cina. Pur restando la più grande fabbrica mondiale delle imitazioni, si sta trasformando nella nuova potenza economica globale. Il vero salto, però, non sarà tecnologico — quello lo ha già fatto. Sarà culturale. Finché i prodotti cinesi resteranno ispirati a modelli occidentali, vivranno nel cono d’ombra in cui sono nascoste le imitazioni. Solo quando la Cina riuscirà a generare universi culturali e sociali originali, capaci di parlare al mondo con un proprio linguaggio, potrà competere alla pari con l’Occidente e affermarsi come la nuova superpotenza globale dei consumi aspirazionali.

In fondo, il paradosso è sempre lo stesso: i marchi che basano il loro valore sulla scarsità – da Louis Vuitton a Rolex, fino al fenomeno Supreme, il marchio di abbigliamento e di skateboard statunitense – non vivrebbero la stessa aura senza l’eco prodotta dal falso. La copia amplifica, diffonde, rende ubiquo ciò che dovrebbe restare raro, trasformandolo in oggetto di conversazione e desiderio. Ma questo gioco funziona solo perché quei marchi hanno saputo costruire un livello più profondo di desiderio: non solo possedere un oggetto, ma appartenere a un mondo culturale. È questa stratificazione – estetica, sociale, simbolica – che permette all’originale di brillare anche quando il suo doppio dilaga. Alla fine, dunque, la contraffazione non cancella il valore dell’autentico: lo moltiplica, lo esaspera, lo rende più visibile. Perché in un mercato in cui tutto può essere copiato, ciò che resta davvero inimitabile è l’universo culturale che un brand riesce a generare attorno a sé.

I Beauty Dupes possono garantire gli stessi risultati?

I Beauty Dupes sono cosmetici o prodotti di make-up che cercano di replicare formule ed effetti di prodotti famosi e di lusso. Ma possono davvero garantire gli stessi risultati?

Pedro Catalá, cosmetologo, farmacista, docente di Chimica Cosmetica all’Università di Siena e fondatore di Twelve Beauty, racconta perché affidarsi ai cosiddetti Beauty Dupes non è sempre una buona idea. Non parliamo di falsi illegali, ma di versioni low cost di prodotti iconici, che promettono effetti simili a costi più contenuti. Una tentazione per chi vuole testare certi ingredienti senza spendere troppo. Tuttavia, scegliere queste alternative significa spesso rinunciare a qualità, sostenibilità e salute della pelle a lungo termine.

Ingredienti simili? Non sempre efficaci

«Anche se due prodotti mostrano una lista di ingredienti simile, la purezza e l’efficacia delle materie prime possono variare enormemente» – spiega Catalá. Un esempio emblematico è la niacinamide: ingrediente amatissimo sia nelle formule di lusso sia in quelle economiche. Ma le versioni più pure sono molto costose da produrre, mentre quelle più economiche possono contenere residui di acido nicotinico, responsabile di arrossamenti e irritazioni nelle pelli sensibili.

Lo stesso discorso vale per gli oli vegetali. «Quelli industriali tendono ad avere più impurità, ossidano più velocemente e perdono efficacia. Le marche premium invece investono in oli di qualità e antiossidanti che ne garantiscono stabilità e benefici a lungo termine». Un altro punto critico è la concentrazione degli attivi: «I brand di lusso si affidano a dosaggi clinicamente testati, mentre molti Beauty Dupes diluiscono gli ingredienti per abbassare i costi. Sulla carta possono sembrare simili, ma i risultati sulla pelle raccontano un’altra storia».

I Beauty Dupes possono sembrare un affare, ma con il tempo rischiano di costare di più – sia alla pelle che al portafoglio. «Se una crema idratante economica non basta, finirai per aggiungere sieri, tonici o sostituirla del tutto. Quello che sembrava un risparmio si trasforma in una spesa maggiore rispetto a un prodotto di alta efficacia» – spiega.

Un discorso analogo vale per la protezione solare: molti filtri economici non vengono sottoposti a test rigorosi come quelli delle formule premium. Il rischio? Una protezione SPF poco affidabile e una pelle esposta ai danni solari senza accorgersene.

E il packaging? Spesso il prezzo molto basso si riflette anche in scelte meno sostenibili e poco green: confezioni non riciclabili, ingredienti ottenuti con pratiche poco etiche e formule ricche di additivi sintetici o microplastiche.

Rischi per la pelle sensibile

Le formule low cost spesso contengono alcol, fragranze sintetiche o esfolianti aggressivi, che compromettono la barriera cutanea e provocano irritazioni. Un caso recente ha visto protagonista un esfoliante economico che univa granuli fisici e acidi ad alta concentrazione: risultato, microlesioni cutanee, maggiore sensibilità ai raggi UV e infiammazioni. «Il compito della skincare è rafforzare la pelle, non indebolirla» – avverte il farmacista

C’è anche un aspetto comportamentale: «Quando un prodotto costa molto poco, spesso lo usiamo senza costanza o addirittura in quantità eccessive, convinti che “più sia meglio”. Al contrario, quando si investe in un cosmetico premium, si tende a seguirne le istruzioni con più disciplina, ottenendo risultati migliori. In skincare, oltre alla formula, la costanza fa davvero la differenza».

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