I dirigenti avevano deciso prima del finale di stagione che non avrebbero toccato i titolari. E l’idea non è stata stravolta
Il palazzo ha sempre la stessa facciata. Sono cambiati gli interni: tre, quattro al massimo considerando quell’arredo di splendido design che è Pio Esposito. Perché l’Inter è convinta che basti così. Che l’impianto sia di altissimo livello e non ci sia bisogno di interventi strutturali per tornare a primeggiare. E primeggiare - giusto per evitare equivoci - non vuol dire entrare tra le prime quattro del prossimo campionato. Vuol dire vincere lo scudetto. E allora, dopo la premessa doverosa di un ragionamento fissato al 12 luglio in pieno mercato - e dunque non si possono escludere variazioni più o meno improvvise -, è giusto partire da qui: l’Inter sta mantenendo fede al suo progetto, quello dal manifesto “evoluzione e non rivoluzione”. E in effetti negli undici titolari, dovesse partire domani il campionato, non ci sarebbero novità rispetto alla squadra della scorsa stagione, almeno in avvio. Gli arricchimenti sono dietro, nelle alternative. Era una scelta, questa, che l’Inter aveva già preso prima di sapere come sarebbe andata a finire la stagione, ovvero con la beffa in campionato e la batosta di Monaco. E poi i dirigenti non hanno cambiato idea.
i rischi
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I big sono rimasti tutti. I leader anche. L’Inter è quella lì, da Sommer a Lautaro. Passando pure per Calhanoglu. Ed è uno scenario rischioso, inutile girarci intorno. Per tre motivi. Il primo: questo è un gruppo che ha vissuto mille battaglie e dunque deve trovare il modo di rimotivarsi pur con un anno in più sulla carta d’identità, passaggio non scontato. Il secondo: tutto finisce sulle spalle di Cristian Chivu, l’unica vera grande novità della prossima Inter. Starà a lui trovare la chiave giusta. Starà a lui allineare uno spogliatoio deluso e stressato, per come è finita la scorsa stagione. E questo, poi, al netto del pasticcio di Charlotte, con Lautaro che esplode nella maniera più scomposta possibile, con conseguenze che la società ha provato in qualche modo a tamponare. Il terzo motivo? Quelle nerazzurre sono le facce del rigore di Pedro. Di Monaco. Della delusione (seppur minore) col Fluminense. E il rischio che i fantasmi tornino a galla alla prima frenata è concreto, sarebbe sbagliato smentirlo.
i motivi
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La realtà è che l’Inter è arrivata a fine giugno dopo aver già speso 70 milioni di euro, sui 100 del budget a disposizione. I restanti 30 saranno investiti sul difensore, il ricavato dalle cessioni minori sarà probabilmente speso per un trequartista. L’addio di Calhanoglu avrebbe spostato qualcosa, liberando lo spazio per Ederson. E magari avrebbe (ri)acceso anche gli entusiasmi dei tifosi per un grande colpo, uno di quelli che cambia l’umore e la luce dell’estate. Così invece Chivu dovrà puntare tutto sulla crescita di Sucic e anche su quella di Frattesi dopo l’infortunio, magari sulla trequarti. Una via è il cambio di modulo, anche per favorire nuovi stimoli tra i giocatori. Ad Appiano si lavorerà su questo fronte, (anche) a questo serviranno le quattro amichevoli che saranno programmate prima dell’inizio della stagione. Ma dirigenti e allenatore sono convinti di poter puntare su altri due fattori. Da una parte c’è la ragionevole certezza di un gruppo di giocatori che non ha voglia di lasciare un’immagine non buona. E che dunque sarà pungolato - credono tutti - dall’idea di voler tornare a dominare in Italia. Il secondo punto è legato all’aspetto fisico. Questo gruppo di giocatori ha nelle gambe un margine di miglioramento sul piano della preparazione atletica e anche sotto quella della prevenzione agli infortuni. Sotto quel profilo l’Inter può crescere. Può guadagnare punti veri. E punti veri, poi, li porteranno anche quei 70 milioni già spesi. Bonny e il rientro di Pio Esposito daranno quel che Taremi, Arnautovic e Correa mai sono riusciti a regalare. Se basterà per cancellare l’onda lunga della negatività, lo dirà il campo. Perché adesso l’Inter è ancora sotto quella cappa di pessimismo in cui è finita da quell’assurdo mese di maggio.