Disturbi alimentari negli sportivi: come riconoscerli e affrontarli

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Emanuel Mian, psicologo e psicoterapeuta, spiega a Gazzetta Active quali sono i rischi dell'ossessione per l'allenamento.

Anna Castiglioni

28 marzo - 16:00 - MILANO

Certe volte mangiare è più difficile che allenarsi”. Dietro questa frase, pronunciata da una giovane atleta, si nasconde una realtà molto più diffusa di quanto si pensi: anche tra chi pratica sport con passione e determinazione possono svilupparsi disturbi del comportamento alimentare. E, anzi, proprio il contesto sportivo può diventare terreno fertile per l’emergere di disfunzioni gravi nel rapporto con il cibo e con l’immagine corporea.

disturbi alimentari tra gli sportivi, i dati

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Secondo il dottor Emmanuel Mian, psicologo e psicoterapeuta dell’Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità (INCO) dell’IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano, il fenomeno è in crescita costante, e non riguarda solo gli ambienti sportivi d’élite. “I disturbi alimentari stanno registrando un aumento preoccupante nella popolazione generale. In Italia parliamo di circa 3,8 milioni di persone colpite, con un abbassamento sempre più marcato dell’età d’esordio. Ma nel mondo sportivo la situazione è ancora più complessa: il rischio può arrivare fino al doppio rispetto a chi non pratica sport”. Tra le atlete donne, le percentuali oscillano dal 14% al 45%, mentre tra gli uomini si può arrivare fino al 19%. E questi numeri, precisa Mian, sono verosimilmente sottostimati. “C’è una parte sommersa enorme che non viene riconosciuta come disturbo. Molti comportamenti disfunzionali vengono normalizzati nell’ambiente sportivo, mascherati come dedizione o disciplina”.

il ruolo del coach

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Una delle criticità più grandi è l’assenza, in molti contesti sportivi, di una figura professionale adeguata a occuparsi della salute mentale degli atleti. “La figura dello psicologo esperto in comportamento alimentare non è ancora entrata a pieno titolo nel mondo dello sport. Troppo spesso ci si affida a mental coach che, ricordiamolo, molto spesso non sono psicologi e quindi non sono in grado né di emettere diagnosi né di indirizzare correttamente le cure. Questi professionisti tendono a concentrarsi unicamente sulla parte di performance keeping e peaking, dimenticando completamente la sfera della salute mentale. Voglio essere molto chiaro su questo punto: la salute mentale deve essere gestita da psicologi e psichiatri, le altre figure non sono deputate a farlo, punto”. Mian insiste sull’importanza di riconoscere quanto l’ossessione per l’immagine del corpo sia spesso alla base del disagio. “Come spiego anche in Fuga dallo Specchio (Emanuel Mian, edizione Felrinelli, ndr), l’ossessione per l’immagine del corpo è spesso un fattore scatenante potente, che nel contesto sportivo trova un terreno particolarmente fertile, e richiede un intervento specialistico, non improvvisato”.

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come riconoscere i disturbi alimentari

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Ma cosa si intende, esattamente, per disturbo alimentare? “Un disturbo alimentare si manifesta quando il nostro rapporto con il cibo diventa problematico e disfunzionale. Non è più semplicemente nutrirsi, ma entra in gioco un sistema di restrizioni, abbuffate, pensieri ossessivi che interferiscono con la qualità della vita.” A tutto questo, si aggiunge un elemento spesso sottovalutato: la distorsione dell’immagine corporea. “Non parliamo solo di comportamenti alimentari alterati, ma di una profonda distorsione nella percezione del proprio corpo, che diventa fonte di ansia, vergogna e insoddisfazione costante”. Nei giovani atleti, i segnali da osservare sono chiari, anche se spesso difficili da cogliere all’interno di un sistema che premia il controllo, la resistenza e la performance. “Dobbiamo prestare attenzione a una perdita di peso improvvisa e significativa, a un’ossessione evidente per calorie e per la distinzione rigida tra cibi buoni e cattivi, ad allenamenti eccessivi senza concedersi il giusto recupero. Altri segnali importanti sono i cambiamenti d’umore, l’irritabilità, un progressivo isolamento sociale, magari per paura di ‘sgarrare’, una fatica cronica accompagnata da un calo nelle performance sportive, e i commenti negativi ripetuti sul proprio aspetto fisico. Anche i confronti ossessivi con altri atleti, o i controlli frequenti del corpo allo specchio o nelle foto, sono campanelli d’allarme da non trascurare.”

sport più a rischio per i disturbi alimentari

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Mian ribadisce l’importanza di un intervento tempestivo: “Intercettare questi segnali è fondamentale. È cruciale sviluppare una consapevolezza del legame tra cibo, emozioni e percezione del proprio corpo. Il lavoro sull’immagine corporea è parte integrante del processo di guarigione: non possiamo pensare di risolvere un disturbo alimentare senza affrontare il modo in cui la persona vede e vive il proprio corpo”. Ci sono poi discipline sportive che espongono maggiormente gli atleti a questi rischi. “Alcune creano un ambiente particolarmente a rischio. Penso agli sport estetici come la ginnastica ritmica, la danza classica e il pattinaggio artistico, dove l’aspetto fisico dell’atleta viene costantemente giudicato insieme alla performance tecnica. Nel caso delle ‘Farfalle’ della ginnastica ritmica italiana, è emerso uno scandalo preoccupante: atlete giovanissime sottoposte a pressioni sul peso, umiliazioni verbali, ossessioni per il cibo e una cultura della magrezza come unico parametro di valore”. Mian non usa mezzi termini: “Situazioni come questa mostrano quanto un ambiente sportivo possa diventare tossico e quanto sia fondamentale la presenza di uno psicologo, non solo per la gestione della performance, ma anche per la tutela del benessere psico-fisico dell’atleta. Se in certi contesti la figura dello psicologo non era presente, sarebbe stata indispensabile. E se invece era presente, allora non può non porsi una domanda scomoda: ha visto e ha taciuto?”. 

 come i social cambiano il rapporto cibo-corpo e i post più pericolosi

A rischio anche gli sport con categorie di peso, come judo, boxe e altre arti marziali. “Gli atleti devono spesso affrontare il cosiddetto ‘taglio del peso’ in prossimità delle gare, ricorrendo talvolta a pratiche estreme per rientrare nei limiti della propria categoria”. Una realtà, purtroppo, molto comune. Anche negli sport di resistenza – come maratona, ciclismo e sci di fondo – resta radicata la convinzione che un peso corporeo inferiore migliori automaticamente la prestazione. “Spesso è una convinzione errata, ma molto difficile da scardinare”, osserva Mian. “E infine, non possiamo dimenticare il bodybuilding e il fitness competitivo, dove l’ossessione può riguardare la definizione muscolare e la riduzione del grasso corporeo, portando talvolta alla vigoressia”.

l'ossessione per l'allenamento e l'influenza dei social

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Proprio la vigoressia, o dismorfismo muscolare, è uno dei disturbi più sottovalutati, perché chi ne soffre non percepisce di avere un problema. “La persona si vede sempre troppo piccola o non abbastanza muscolosa, anche quando ha un corpo scolpito e definito. C’è un’ossessione per l’allenamento, per la dieta iperproteica, una rigidità estrema nella vita quotidiana e, paradossalmente, un profondo senso di inadeguatezza. Nella loro percezione, non stanno facendo nulla di male, anzi: si stanno semplicemente ‘dedicando al massimo’ al proprio sport. Ma in realtà stanno sviluppando comportamenti sempre più disfunzionali”. A rendere tutto più complicato è l’influenza dei social media. “Molto importante sarebbe monitorare i vari fitness influencer, che spesso non sono per nulla preparati e certificati per il loro lavoro. Figuriamoci se si rendono conto dei danni che possono fare sui giovani. Purtroppo, oggi il numero di follower viene spesso associato a competenza, ma si tratta di un grande fraintendimento: molte di queste persone sono degli improvvisati. Proprio per questo il ruolo degli allenatori e delle allenatrici è decisivo e cruciale nella prevenzione e nella gestione dei disturbi alimentari. Un allenatore attento può fare la differenza, favorendo un ambiente sano e intervenendo precocemente”.

come trattare i disturbi alimentari

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Secondo Mian, ci sono alcuni principi fondamentali da seguire. Il primo è evitare commenti su peso e aspetto fisico. “Bisogna de-enfatizzare il peso come chiave del successo sportivo, focalizzandosi invece su forza, tecnica e capacità atletiche. Qualsiasi osservazione sul corpo dell’atleta va posta con estrema cautela – meglio ancora, evitata del tutto”. Un altro punto chiave è evitare il fai-da-te. “La gestione dell’alimentazione va lasciata a professionisti qualificati – dietisti, nutrizionisti. Allenatori e compagni dovrebbero astenersi dal dare consigli dietetici non richiesti e dal prescrivere regimi alimentari improvvisati”. Inoltre, è essenziale imparare a riconoscere i segnali d’allarme e incoraggiare un dialogo aperto. “Un allenatore dovrebbe saper cogliere cambiamenti sospetti nel comportamento dell’atleta – calo di peso, affaticamento, isolamento – ed esprimere preoccupazione in modo empatico. Spesso, il fatto che una figura di riferimento mostri attenzione e supporto aiuta l’atleta a prendere coscienza del problema e a cercare aiuto”. Infine, creare un ambiente di squadra positivo, in cui venga promosso il benessere dell’atleta prima del risultato, è fondamentale. “Va scoraggiato il ‘fat talk’ e ogni commento tossico sul corpo. La salute e la sicurezza dell’atleta devono sempre venire prima della performance. Un clima di supporto reciproco può fare davvero la differenza”. Ma dov’è, infine, il confine tra una sana attenzione all’alimentazione e un’ossessione per il controllo del cibo? “La linea di confine si supera quando il cibo smette di essere fonte di piacere e nutrimento e diventa invece causa di ansia, paura o senso di colpa. Quando ogni pasto viene vissuto con angoscia, con vergogna se si ‘sgarra’ dalla dieta. Quando si iniziano a evitare situazioni sociali legate al cibo. Quando il peso diventa un’ossessione costante, con pesate ripetute più volte al giorno. O ancora, quando si alternano diete punitive ad abbuffate seguite da comportamenti compensatori, come vomito autoindotto, uso di lassativi, digiuni o esercizio fisico eccessivo”. In tutti questi casi, conclude Mian, “l’attenzione al cibo non è più un semplice atteggiamento salutare, ma un’ossessione dannosa. L’atleta finisce per compromettere sia la propria salute – con carenze nutrizionali, infortuni, problemi psicologici – sia il piacere stesso dello sport e della vita sociale”.

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