Carattere complesso, personalità evidente: il nuovo allenatore del Milan forgia e si è forgiato tra regole ferree, dialogo, sensibilità e punte di cinismo. Come quando disse a suo figlio che doveva perdere peso "Se hai fame, bevi"
Luca Bianchin
18 gennaio - 01:36 - MILANO
Sergio Conceiçao è un impasto di terra, lacrime, calcio tradizionale, religione, nervi (molti nervi) e sensibilità. Va di gran moda perché ha vinto subito e riporta a uomini di altri tempi, più genuini che sofisticati, più diretti che concettuali. È sfaccettato, variegato, non così semplice da capire e lo sarebbe ancora di più per un inglese, forse per un francese, per un abbonato del Barcellona sicuramente. In Italia invece abbiamo avuto José Mourinho e Antonio Conte e insomma, siamo allenati. “Allena con sbalorditivo genio pragmatico”, diceva Gianni Brera di Nereo Rocco, patriarca del milanismo, e quella è la strada. Conceiçao ha similitudini con Mou e Conte e nella linea ereditaria degli allenatori milanisti ha sicuramente qualcosa di Rocco e Capello, mentre Fonseca per principi rimandava piuttosto ad Arrigo Sacchi: il dominio del gioco, le lunghe spiegazioni tattiche, le stelle in panchina per carenza di applicazione. Le prime settimane hanno messo il focus sul Sergio sergente di ferro, che certamente esiste, ma in quest’uomo c’è di più. C’è il lato personale che per lui, come per tutti o quasi, è il più interessante. Conceiçao non dà accesso alla vita privata – non disturbatevi a cercare rivelazioni dalla moglie, non le troverete – ma più di qualcosa si è capito.