Anni 80-90: fu l'epoca dei grandi giocatori americani che decisero di fare un passaggio in Italia, alcuni per apparizioni fugaci, altri per più stagioni. E la Serie A visse un momento di autentico splendore
Sugar Ray Richardson, e immaginavi l’America. Quella che negli anni 80 e 90 era sempre l’eco di qualcosa. Il rock, i sogni, la pallacanestro. Ma a Bologna, Basket City, la potevi vedere nei tiri e nei movimenti fluidi di Sugar, l’uomo che fece grande la Virtus. Si chiamava Michael Ray Richardson, aveva 70 anni. Al college, e più tardi all’università del Montana, presero tutti a chiamarlo Sugar, zucchero. "Pensavano fossi un atleta speciale: dolce dentro e fuori dal campo. Quindi il soprannome è diventato parte di me". Si è spento per colpa di un cancro alla prostata, in Oklahoma. Dove, ha scherzato una volta, "non faccio nulla". Quello che è stato Sugar Ray lo si è visto nelle ore scorse al PalaDozza, un omaggio della Virtus al grande campione che non c’è più. Ma l’Italia del basket di campioni born in the Usa ne ha visti diversi. Eccentrici, galattici, supersonici. Furibondi uomini della schiacciata e sopraffini giganti con i punti nelle mani. Da Bob McAdoo a Reggie Theus, ecco solo alcuni degli iconici americani d’Italia.










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