Ciclismo: gli 80 anni del 'Cannibale' Merckx, la storia su 2 ruote

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Se per tutti la boxe (e anche di piu') è Mohamed Alì ed il basket è Michael Jordan, la storia del ciclismo non può che portare il nome di Eddy Merckx: il più forte campione di tutti i tempi in sella a una bicicletta.

Compie 80 anni il "Cannibale", chiamato così per quella fame di vittorie che lo ha portato a conquistare tutto e a lasciare poco o nulla agli avversari. "Quel soprannome lo invento' la figlia piccola di un mio rivale...", ha avuto modo di rivelare. Ora, il suo compleanno tondo come due ruote rappresenta un evento in Belgio, dove è una leggenda vivente al punto da essere ricevuto da re Filippo nel castello di Laeken, ma anche per tutto il mondo sportivo. Nato nel 1945 a Meensel-Kiezegem, nelle Fiandre, questo robusto ciclista di poco più di un metro e ottanta è stato il dominatore indiscusso dello sport piu' popolare tra gli anni '60 e '70. Storica la sua rivalità con Felice Gimondi che dovette spesso arrendersi allo strapotere di quello che poi sarebbe divenuto un caro amico.

"Mi piacerebbe tornare nel gruppo per sfidare Tadej Pogacar", ha detto nei giorni scorsi Merckx, confermando la sua insaziabile fame agonistica. L'elenco dei suoi successi è lungo con 445 vittorie su strada (piu' 80 su pista) su 1800 gare alle quali ha partecipato, alimentando la leggenda del campione che non voleva lasciare nulla ai gregari. Vale la pena citare i cinque Tour de France (1969, 1970, 1971, 1972 e 1974), i cinque Giri d'Italia (1968, 1970, 1972, 1973 e 1974) come Alfredo Binda e Fausto Coppi; e poi una Vuelta, un Giro di Romandia, tre campionati del mondo su strada e trentatré classiche tra le quali più volte la Milano-Sanremo (7), la Liegi-Bastogne-Liegi (5) e la Parigi-Roubaix (3). E' l'unico ad aver realizzato la doppietta Giro-Tour per tre volte, nel '70, nel '72 e nel '74.

Il suo palmares e' una lista corposa e fredda che non rende merito alla sua classe. Non solo sportivo ma anche grande personaggio: Gianni Mura lo definì "il più umano dei campioni".

Sicuramente a questa definizione hanno contribuito le immagini del suo pianto, quando nel 1969 fu costretto ad abbandonare il Giro dopo un controllo anti-doping: lo intervistò un altro maestro del giornalismo come Sergio Zavoli al "Processo al Giro", ed il "Cannibale" scoppiò in lacrime davanti alle telecamere giurando a tutti la propria innocenza. "Una trappola", tuonarono i giornali belgi. Ma anche i colleghi vollero credere a Eddy: Felice Gimondi quel giorno, complice l'assenza del belga, conquistò la maglia rosa di leader ma si rifiutò di indossarla. Erano altri tempi.

A ottant'anni il belga va ancora in bicicletta. Lo scorso dicembre una caduta lo ha costretto ad una complessa operazione al bacino, risolta per il meglio. Merckx resta un monumento per tutti quelli che si avvicinano al ciclismo da professionisti. Al punto da cancellare dalla memoria collettiva altre accuse successive sull'uso di doping. "Il mio segreto sono genetica e umiltà", si difendeva e dice ancora. Se nel calcio per definire il più forte ci si divide tra Diego Armando Maradona e Pelé, sulle due ruote non c'è discussione: è lui il punto di riferimento. Al massimo è Merckx a poter indicare chi gli si può avvicinare: "Il mio erede? Tadej Pogacar è quello che mi si assomiglia di più. E' completo", aveva ha detto lo scorso aprile. Salvo poi, a giugno, rivedere il giudizio e sottolineare che "lui ha solo due avversari, io ne avevo cinque o sei".

Orgoglio ed un pizzico di presunzione, un privilegio che si concede soltanto ai più grandi.

 A ottant'anni il belga va ancora in bicicletta. Lo scorso dicembre una caduta lo ha costretto ad una complessa operazione al bacino, risolta per il meglio.
   

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