Nel 2014 il turco si dichiarò depresso e non si presentò in ritiro. Pochi mesi prima aveva firmato il rinnovo e dichiarato amore eterno al club
Ad Amburgo ne avrebbero esposto volentieri il piede destro alla Kunsthalle, il museo dov’è conservato il “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich. Un quadro. Come la punizione da 40 metri contro il Borussia Dortmund finita nel sette. Calhanoglu era il “principe” della città sull’Elba. Aveva dalla sua parte tutto il Volksparkstadion, ma a un certo punto, dopo una stagione da star dove trainò la squadra fuori dalle sabbie mobili della retrocessione, scelse di andar via dopo aver dichiarato amore eterno.
l'addio ad amburgo
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Gli addii di Calhanoglu sono sempre stati turbolenti. Quello all’Amburgo passò alla storia come il grande strappo alla piazza che gli aveva permesso di giocare in Bundesliga: “Voglio diventare una colonna. Sta attraversando un momento difficile e vorrei aiutarla a venirne fuori”. Nel 2014 i rinnovi si annunciavano ancora su Facebook. Hakan scrisse così a metà di una stagione conclusa con la salvezza via playout, dopo 11 gol e dieci assist. Un paio di settimane dopo, però, il turco bussò ai piani alti con un pezzo di carta tra le mani: “Mi vuole il Bayer Leverkusen. Vorrei essere ceduto”. Il tutto dopo l’obiettivo raggiunto: “Voglio lasciare Amburgo, se andassi al Bayer avrei prospettive allettanti per la prossima stagione. Voglio provare ad arrivare al livello di Cristiano Ronaldo e Messi. Per favore, abbiate un po’ di comprensione per le mie grandi ambizioni”.
la depressione
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Da qui la schermaglia. Il 18 giugno presentò un certificato con su scritto “depressione” e non si presentò in ritiro. Colpa degli insulti ricevuti dai tifosi dopo la notizia dell’addio. Hakan cambiò numero, si rese irreperibile e non rispose a nessuno, neanche all'allenatore. Rafael Van der Vaart, l’uomo che gli aveva lasciato battere le punizioni in stagione, prese le distanze dal suo atteggiamento: “Se dichiara amore eterno per il club e poi sparisce, mi viene da pensare che Hakan abbia un pessimo procuratore”. Michel Mazingu-Dinzey, ex calciatore passato per il St. Pauli – la seconda squadra di Amburgo – sentenziò così: “Di idioti nel calcio ce ne sono molti, ma lui li batte tutti. Il 10 che indossa sulla maglia probabilmente rappresenta il suo quoziente intellettivo”.
l'addio al milan
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La storia ha un epilogo scontato: Calhanoglu passò al Bayer per 15 milioni e si presentò subito agli allenamenti. Ogni volta che è tornato ad Amburgo è stato fischiato, compresa la sfida giocata con la nazionale nell’ultimo Europeo. Al Volksparkstadion è rimasta una ferita aperta. La stessa dei tifosi rossoneri. Nel 2021 lasciò i rossoneri a parametro zero dopo 32 gol in quattro anni. Nel 2024, dopo aver vinto lo scudetto con l’Inter, sbeffeggiò i suoi vecchi tifosi con un post ironico pieno di frecciate. Dopo la Supercoppa del 2021 disse “che in sei mesi aveva già vinto un trofeo”. E in occasione del primo gol ai rossoneri su rigore esultò con le mani dietro le orecchie.
la squalifica
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Non è finita. Una firma di troppo gli costò una squalifica di quattro mesi imposta dalla Fifa e scontata nel 2017, durante l'ultima annata col Bayer. Nel 2011, a 17 anni, siglò una sorta di precontratto col Trabzonspor. Lui e suo padre erano d'accordo su modi e cifre. A quei tempi Hakan giocava nelle giovanili del Karlsruhe e aveva già attirato l'attenzione di alcuni club. Si accordò per un contratto con centomila euro di bonus. E la promessa che a 18 anni sarebbe volato a Trebisonda per giocare in Turchia. Non andò così: l'Amburgo gli promise un contratto a cifre più alte e la chance di giocare in Bundesliga. Calhanoglu parlò con il padre e scelse l'opzione B. E il Trabzonspor si ritrovò senza il suo talento. Da qui, la richiesta alla Fifa: "Vogliamo una multa da un milione e sei mesi di stop per il giocatore". La diatriba si concluse con 4 mesi out e centomila euro di risarcimento da pagare ai turchi. Niente di nuovo. La Kunsthalle di Amburgo aveva già rimosso gli altarini.