Il numero uno di RedBird a un podcast Usa: "È una sfida, perché l'ecosistema in cui opero è molto resistente al cambiamento. I soldi che guadagno li reinvesto. Vogliamo un team al livello della Premier"
28 ottobre - 01:41 - MILANO
Parla raramente, quindi, quando lo fa, è una notizia. E dice sempre cose interessanti. Come stavolta, durante l'intervista rilasciata nei giorni scorsi negli Usa al podcast The Varsity. Gerry Cardinale, proprietario del Milan tramite il fondo RedBird Capital & Partners, ha raccontato la sua esperienza rossonera. La prima frase che salta all'occhio e questa: "Com'è possedere una squadra come il Milan? La cosa più difficile che abbia mai fatto. È una sfida, perché l'ecosistema in cui opero è molto resistente al cambiamento".
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"In tre anni di proprietà come RedBird siamo stati positivi in termini di flusso di cassa per la prima volta in 17 anni. E non tengo quei soldi per me, li reinvesto nella squadra. Abbiamo speso più di qualsiasi altra squadra di Serie A nell'ultimo mercato estivo. Stiamo costruendo un nuovo stadio. Non per intascare denaro, ma per trasformare il profilo finanziario del Milan e portarlo al livello delle squadre di Premier League".
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"Per noi la vera concorrenza non sono le altre 19 squadre di Serie A, ma la Premier League. Quello è un buco nero economico che drena ricchezza dal continente. Hanno quasi quattro volte le entrate televisive delle altre leghe europee ed è un problema. Eppure, in Serie A, l'ultima può battere la prima in qualsiasi giornata. È la lega più competitiva, ma non veniamo pagati per questo. Non possiamo ottenere accordi significativi per i diritti internazionali. Perché? Perché i distributori vogliono solo il meglio, da cui nasce il fenomeno della Superlega. Negli Stati Uniti, nessuno vuole vedere Cagliari-Lecce e questo è un problema. La competizione è l'essenza dello sport, ma non è premiata economicamente". E poi sul nuovo stadio: "Lo stiamo costruendo con Tim Romani, uno dei migliori nel settore. Una volta completato, voglio condividere il modello con le altre squadre di Serie A, perché non sono la mia vera concorrenza. Il mio obiettivo è la Premier League".
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Gli ricordano di essersi definito un "Berlusconi 2.0". Lui sorride: "La mia PR è impazzita. Ma ciò che intendevo dire è che voglio innovare, come fecero Berlusconi o Steinbrenner (storico proprietario dei New York Yankees, ndr.) ai loro tempi. Solo che oggi non puoi più farlo allo stesso modo: è tutto troppo costoso, ci sono fondi sovrani, miliardari. Devi trovare un altro modo. C'è un'inerzia nello sport: si pensa che più spendi, più vinci. Ma non è così lineare. Abbiamo bisogno che anche le squadre dei piccoli mercati prosperino. È il concetto con cui mi confronto in Serie A ed è lo stesso che ha portato al divario tra la Premier League e il resto del continente. È lì che la situazione diventa problematica. E quello che succederà, secondo me, è che dovremo autoregolarci. Dovremo cambiare il paradigma economico in modo che tutti nell'ecosistema possano sostenersi da soli. La chiave è: devi essere in grado di pagarti da solo. Pensa: Paramount ha 113 anni, il Milan 125. Sono marchi fenomenali, ma vanno riscritti. E questo significa anticipare dove andrà il mercato".
La Gazzetta dello Sport
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