Cantona era il francese di cui gli inglesi avevano bisogno

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Un uomo del popolo che giocava come un re. Un Jedi esperto del lato oscuro della forza. Un artista in campo e fuori che faceva a botte anche uno contro sette. Alto, altezzoso, riservato, mai banale, la storia tra Eric e il Manchester United ha unito i due paesi meglio della Manica

Alessandra Giardini

25 ottobre 2025 (modifica alle 13:28) - MILANO

Quando andò a giocare in Inghilterra, Eric Cantona si era già ritirato una volta. Si era dedicato a lunghe passeggiate sulle spiagge della Camargue, tra tori allo stato brado e stormi di fenicotteri rosa, e quando rientrava a casa riproduceva quelle emozioni nei suoi dipinti su tela. Ascoltava la musica di Léo Ferré e William Sheller, giocava con suo figlio e immaginava il futuro. Fu Michel Platini, che gli voleva bene, a convincerlo a provare l’Inghilterra. "È un paese dove si gioca e non si parla troppo. Se vuoi, puoi andare al pub dopo la partita e stare in silenzio". Eric aveva venticinque anni e la fama di diavolo: attraversò la Manica e andò a insegnare calcio ai maestri. Gli inglesi non avevano mai visto niente di simile. Quando firmò con il Leeds United, a gennaio del 1992, Eric non sapeva neanche una parola di inglese, e nessuno si aspettava seriamente che sarebbe rimasto a lungo. Vinse il titolo. Nella stagione successiva nacque la Premier League, e Cantona, passato al Manchester United, fu la prima star del nuovo campionato. Nei cinque anni all’Old Trafford, diventò una sorta di figura mitologica, metà re e metà satana. Più re che satana.

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