Meloni al bivio sui fondi a Kiev, trincea sul Green Deal

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Geometrie variabili, scelte difficili, la spada di Damocle di una rapidità che non c'è. Il Consiglio europeo di ottobre, per Giorgia Meloni come per i leader europei, è un vertice a suo modo spartiacque. E' arrivato dopo il summit informale di inizio ottobre a Copenaghen dove, sostanzialmente, i 27 hanno scelto di restare a galla. A Bruxelles non potevano ripetersi. Da qui a fine anno sopraggiungerà il tempo delle scelte su due dossier cruciali, l'uso degli asset russi e la revisione delle norme sulle auto.

Temi affrontati dalla presidente del Consiglio con due posture sensibilmente differenti: prudente sul primo, nettamente in trincea sul secondo. Il nodo dell'utilizzo dei beni russi congelati non riguarda solo l'Italia. Ma, sulla percorribilità giuridica dello strumento da Roma è arrivato più di un dubbio. I timori, per Meloni, sono diversi: si va dalle ricadute finanziarie sui conti al pericolo di ritorsioni da parte di un Vladimir Putin già scottato dalle sanzioni. Prima della cena le conclusioni del vertice sugli asset erano ancora aperte. Nessuno, a parte l'Ungheria, ha detto no a priori all'iniziativa. In tanti vogliono vederci chiaro. Fonti italiane hanno spiegato come il Belgio - cassaforte dei beni russi e per questo tra i meno convinti - ha chiesto una mutualizzazione integrale dei rischi.

Tradotto: tutti dovrebbero dare garanzie sui prestiti di riparazione se Mosca, come in molti temono, non risarcirà mai l'Ucraina. La preoccupazione del Belgio è simile a quella dell'Italia. Meloni, tuttavia, è costretta a muoversi con una certa cautela, per un motivo preciso: al momento un alternativa all'uso degli asset russi, per l'Ue, non c'è. O meglio, sarebbe sostenere l'Ucraina di tasca propria, come è accaduto finora. Un dato è certo: le risorse di Kiev si stanno esaurendo, da gennaio sarà quasi allarme rosso. Incontrando Meloni a margine del vertice, Volodymyr Zelensky, non a caso, le ha ricordato quanto la questione sia "cruciale". "Sono fondi destinati a difendere il nostro Paese", ha sottolineato il presidente ucraino. E sul sostegno all'Ucraina la linea dell'Italia non ha mai lasciato, e non lascia, spazio ad alcuna perplessità.

Se sul fronte degli asset i leader si sono mossi in acque piuttosto torbide, diverso è stato il contesto dell'altro dossier caldo, quello della competitività. Antonio Costa, già a pranzo, ha provato a smussare gli angoli annunciando, per il 12 febbraio, un vertice ad hoc. Una sorta di "ritiro" in cui i leader, come è accaduto nel febbraio del 2024 sulla difesa, potranno esprimersi con franchezza, senza alcun testo da limare.

Le conclusioni del Consiglio europeo hanno invece certificato l'inserimento di una "clausola di revisione" nei target del 2040 e un "riesame", già quest'anno e nel segno della "neutralità tecnologica", delle norme sulle auto a benzina e diesel. Meloni, forte anche dell'asse con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, sul punto può ritenersi soddisfatta. In un bilaterale con Ursula von der Leyen, la premier era stata chiara, chiedendo "un intervento urgente sull'automotive e sull'industria ad alto consumo energetico" per ridurre i prezzi. La Commissione si muoverà ma la strada, per l'Italia, resta in salita. Francia e Spagna hanno già chiarito, nei giorni scorsi, di essere contrari a deviazioni da obiettivi della transizione ecologica ben sottolineati anche nelle conclusioni del summit.

Geometrie variabile, si diceva, spesso appesantite dal diritto di veto. Sul punto, tuttavia, Meloni è chiara: nonostante i tempi chiedano all'Ue decisioni più rapida, il pilastro dell'unanimità non va toccato. Una posizione, questa, che non è di tutto il governo. "Noi siamo per fare passi avanti" sulle procedure a maggioranza, ha precisato il vicepremier Antonio Tajani. Ma i grattacapi, in fatto di decisioni, riguardano anche il Parlamento europeo, frenato da una maggioranza Ursula ormai sull'orlo della rottura definitiva.

Alla presidente Roberta Metsola i 27 lo hanno ricordato con "franchezza", ha spiegato una fonte europea, osservando come, in futuro, alle singole delegazioni potrebbe arrivare direttamente il pressing dei propri capi di governo.
   

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