L’ex difensore azzurro e del Parma: "Al Mondiale Sacchi mi urlò “ti strozzo”, io capii altro e risposi insultandolo... Ora ristrutturo case. Rientrerei per un progetto serio, ma ne vedo pochi"
Lorenzo Cascini
13 novembre 2025 (modifica alle 08:07) - MILANO
Quella maledetta partita, nella sua testa, l’ha rigiocata ogni giorno per trent’anni. Antonio Benarrivo non si dà pace, la sconfitta di Pasadena in finale è una ferita che non si rimarginerà mai. "È un dolore troppo grande. La sfida col Brasile per me è come un film horror, il rigore di Robi è stato la chiusura di una serata da incubo. Ogni tanto sogno di rigiocarla e di vincere". L’ex terzino era uno dei preferiti di Ancelotti a Parma e fido scudiero del presidente Tanzi, fu portato da Sacchi al Mondiale del ’94 giocandole tutte dai quarti in poi.
Benarrivo, partiamo dalla serata più difficile della sua vita. A Pasadena finisce 0-0, poi quei maledetti rigori…
"È un incubo ricorrente. Per me è un dolore enorme, troppo grande. Non penso che lo supererò mai. Ogni tanto mi capita di sognarla: rigiochiamo la finale e vinciamo noi. Ci hanno rubato un sogno dalle mani".
Il rigore di Baggio fu la drammatica chiusura di una serata storta.
"Quella giornata è come un film horror. Ho sofferto tantissimo. E Robi che tira in quel modo… una cosa da non credere. Che poi, ci tengo a precisarlo, non ha sbagliato solo Baggio, ma il suo errore è l’emblema di una notte da dimenticare. Magari riuscirci…".
Lei rischiò anche di finirlo in anticipo quel Mondiale, colpa di un’incomprensione con Sacchi. Che cosa successe?
"Non lo sanno in molti, ma sì ho rischiato. Sacchi, durante una partita, mi urlò 'Ti strozzo' e io capii una cosa diversa. Avevo sentito una lettera di troppo, così lo insultai dal campo. Poi, negli spogliatoi, ci chiarimmo subito. Per una consonante compresa in modo sbagliato stavo per andarmene a casa con largo anticipo".
In quella Nazionale il vice di Sacchi era Carlo Ancelotti, che lei poi ritrovò a Parma. È vero che gli salvò la panchina?
"Detta così fa sorridere, ma se non lo esonerarono da Parma lo deve a un mio gol. Giocavamo a Vicenza e non passavamo un bel periodo: la società gli aveva comunicato che se avessimo perso lo avrebbero mandato via. Io segnai a cinque minuti dalla fine, pareggiammo, e di fatto lo salvai. E chissà come sarebbe andata la sua carriera...".
La sua è sempre stata una vita “di rincorsa”, partendo indietro nelle gerarchie. Anche a Parma divenne titolare grazie a una bugia. In quel caso venne premiata la scaltrezza?
"Quando arrivai il terzino sinistro era Di Chiara, titolare inamovibile e leader. Io, quindi, ero destinato a un’annata da riserva. In ritiro, però, dissi a Nevio Scala che sia a Padova che a Brindisi avevo giocato anche a destra all’occorrenza. Fu una bugia a fin di bene. In realtà non lo avevo mai fatto prima di allora, ma da lì in poi mi sono guadagnato il posto e mi ha fatto giocare sempre. È stata la svolta della mia carriera".
È vero che fu vicino alla Juve?
"Sì, dopo il Mondiale c’era stata questa possibilità. I bianconeri mi volevano, incontrai anche Moggi. Scelsi di restare per una questione di fedeltà, lo dovevo a Tanzi".
L’avrebbe lasciata andare?
"Mi convocò nel suo ufficio e mi chiese che volessi fare. 'Se vuoi vai, ma io voglio vincere e mi servi tu', mi disse. Non ci pensai un secondo e rimasi. Non parlammo di soldi, né di nient’altro. Solo di vita e prospettive future. Mi aveva anche offerto un ruolo in dirigenza per il post carriera, poi sappiamo tutti come è finita…".
Il fallimento della Parmalat le ha chiuso le porte del mondo del calcio dopo il ritiro?
"Sì, forse con il presidente Tanzi sarebbe stato tutto diverso. Oggi vedo ragazzini che si sentono già campioni e di genitori che li fomentano. Quindi, no, il calcio non mi manca. E se dovessi mai rientrare in questo mondo lo farei solo per un progetto serio e coinvolgente, ma sinceramente adesso ne vedo pochi".
Finale del Mondiale a parte, ha qualche rimpianto?
"Nel 1998 potevo andare a giocare all’Arsenal, mi sarebbe piaciuto. Highbury era lo stadio dei miei sogni, in Inghilterra si vive lo sport come piace a me. Però sono rimasto in gialloblù e ho vinto altri due trofei, quindi non la vivo con rammarico, anzi".
In gialloblù eravate un grande gruppo, qualche flash?
"Ci siamo tolti tante soddisfazioni. Io ho giocato lì per 11 anni e ho vinto 8 trofei. Eravamo uno spogliatoio di grandi campioni come Crespo, Chiesa, Thuram, Buffon e compagnia. Giocatori veri, ma prima di tutto uomini".
Il compagno più forte?
"Mi mette in difficoltà… se pensa che la nostra difesa era composta da Thuram e Cannavaro con Gigi in porta. Veron a centrocampo, Chiesa e Crespo davanti. Come fai a sceglierne solo uno?".
Il più simpatico invece?
"Tra tutti scelgo Asprilla per distacco. Tino era un pazzo, ma in senso positivo. E pensi che all’inizio era timidissimo, non voleva farsi la doccia perché si vergognava. Aspettava che tutti avessero finito, prima di andare. Poi, con il tempo, si è rivelato quello che era, ovvero un matto. Ricordo almeno un paio di macchine distrutte, tipico dei sudamericani".
Oggi che cosa fa Antonio Benarrivo?
"Lavoro nel settore immobiliare. Mi occupo di prendere case semi abbandonate, ristrutturarle e poi rivenderle. Sono felice e se il mondo del calcio è quello che vedo spero di starne ben lontano".










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