
Un processo particolare, ma importantissimo per sfuggire alle situazioni di pericolo: lo spiega il dottor Michelangelo Buonocore
Francesco Palma
25 luglio - 18:16 - MILANO
Un colpo tremendo, un osso rotto, una ferita sanguinante. Qualsiasi cosa: eppure, anche se per pochi secondi, il corpo non sente dolore. È successo a Jovanotti, che recentemente ha ricordato la sua terribile caduta di due anni fa a Santo Domingo: “Quando ti fai molto male nei primi secondi non senti male, anzi non senti niente, e infatti ho addirittura preso il cellulare dal telaio della bici e ho girato un video dove dicevo che ero caduto perfino sorridendo, poi ha iniziato a farmi malissimo, ho visto che il piede era al contrario e la clavicola mi bucava la pelle della spalla, e ho sentito le voci di quelli che mi stavano soccorrendo e la prossima cosa che ho sentito è stata la sirena dell'ambulanza". Può succede anche agli sportivi, soprattutto dopo una caduta. Questo meccanismo si chiama analgesia da stress, come spiegato dal dottor Michelangelo Buonocore, primario di Neurofisiopatologia dell’IRCCS Maugeri di Pavia e IRCSS Maugeri Montescano: “Quello che è successo a Jovanotti è estremamente legato a un fenomeno che si chiama analgesia da stress (o stress-induced analgesia) ed è proprio quello che succede in determinate situazioni. L’analgesia da stress sospende per un periodo breve – fino a qualche decina di secondi – la percezione del dolore. Infatti Jovanotti racconta che dopo il trauma aveva preso il cellulare in mano e iniziato a fare un video. Solo dopo è arrivato il dolore. Questo coincide perfettamente con i tempi dell’analgesia da stress”.

Cosa scatta nel nostro corpo affinché si inneschi l’analgesia da stress?
“Normalmente, quando qualcuno avverte dolore si trova in una condizione per cui, all’improvviso, si rende conto di questa sensazione spiacevole perché subisce un trauma. Parliamo del dolore fisiologico, quello che teoricamente dovrebbe essere protettivo: per esempio, tendiamo ad allontanare immediatamente la parte che ha subito il trauma, come quando ci scottiamo. Ma questo, a livello neurofisiologico, è un meccanismo istintivo, non mediato dal cervello: non allontaniamo la parte colpita perché avvertiamo dolore, ma per un riflesso spinale. Quindi, avviene prima il fenomeno dell’allontanamento e poi quello della percezione del dolore. Potrebbe sembrare strano, ma in realtà il dolore che avvertiamo dopo serve non a salvare l’arto in quel momento, ma a memorizzare il contesto in cui abbiamo avuto dolore. Serve a riconoscere in futuro la situazione che ci ha creato dolore per evitarla. Questa memorizzazione è necessaria per avvertire il dolore: questa è l’interpretazione del dolore acuto fisiologico, che teoricamente può anche essere protettivo se non si crea la lesione. Quando invece si verifica un fenomeno come lo stress-induced analgesia, cioè quando la stimolazione dolorosa viene preceduta da una forte emozione legata al pericolo (mettiamola giù molto semplicemente: ci viene paura), l’organismo reagisce in modo diverso. Qualsiasi sensazione acuta di paura può creare una condizione di inibizione del dolore”.
Perché?
“Perché dobbiamo pensare al fatto che siamo animali, in fondo. Se pensiamo all’uomo primitivo, o comunque alla componente che persiste in ogni essere umano , cosa può fare nel momento in cui si trova in pericolo? Due cose: combattere oppure scappare. Questo vale anche per l’uomo, ed è ampiamente dimostrato neurofisiologicamente. Quando un predatore cerca di arrivare a contatto con la preda, questa cerca di combattere per difendersi, oppure scappa. In queste condizioni, per aumentare l’energia a disposizione, si attiva il sistema nervoso che attraverso le ghiandole surrenali induce la produzione degli ormoni dello stress acuto: noradrenalina, adrenalina e cortisolo. Questo fa aumentare la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la glicemia, dando all’organismo più energia per rispondere. Contemporaneamente, si verifica il fenomeno dell’inibizione del dolore, perché se io devo scappare o difendermi, il dolore può inibire il movimento. Se ho dolore, mi muovo di meno. Allora, in quella fase acuta iniziale, non avvertire dolore è vantaggioso: per qualche secondo, dopo la stimolazione dolorosa, io posso scappare, attivarmi, muovermi senza avvertire dolore. Questo è il concetto”.
Quanto incidono quindi le emozioni nell’analgesia da stress?
“Moltissimo. Questo fenomeno non si verifica sempre, ma solo quando c’è una forte emozione di paura. Noi tendiamo a vedere la paura come qualcosa di negativo, ma in realtà è fondamentale per la sopravvivenza della specie: ci permette di allertarci e difenderci. Senza la paura probabilmente ci saremmo estinti, perché non ci saremmo difesi dagli attacchi esterni. Le emozioni quindi sono molto importanti, e il dolore ha sempre una componente emotiva. Quando parte lo stimolo dai nervi e arriva al cervello la prima cosa che accade è una risposta emozionale negativa. Perché negativa? Perché se fosse positiva porterebbe a cercare nuovamente quella situazione. Quindi, quando avvertiamo una sensazione spiacevole, un’emozione spiacevole, siamo già portati di base ad avere un comportamento di evitamento. Poi l’impulso arriva al cervello, in una zona che si chiama ippocampo, che permette di memorizzare l’evento preciso. Faccio sempre questo esempio: cammino sulla sabbia, metto il piede su un riccio e mi pungo. Memorizzo che devo stare attento: quando vedo un riccio non ci devo mettere il piede sopra. Ma questo non basta. Il cervello elabora una risposta più ampia: non solo il riccio, ma tutto ciò che è appuntito mi deve mettere in allerta. Questa elaborazione avviene nella neocorteccia frontale, la parte più nobile del cervello, che ci distingue dagli animali. Serve a creare una teoria di base che mira a evitare le condizioni simili a quella che ha evocato il dolore in questa occasione e quindi a prevenire i danni che si possono verificare anche in altre situazioni”.
Come fa il corpo a discernere quando questa reazione è positiva e quando invece può essere negativa? Perché a volte non accorgersi del dolore può essere un problema…
“Questo fenomeno avviene solo in situazioni di pericolo in cui è previsto che ci si debba muovere. È lì che si crea l’analgesia da stress. Ma attenzione: non sempre succede. Ci sono descrizioni di soldati che non si sono accorti di amputazioni o lesioni molto gravi. Solo quando hanno guardato la parte danneggiata si sono resi conto della gravità. Lo stesso capita a volte negli incidenti stradali: la persona cerca di scendere dall’auto per andare a litigare, senza accorgersi che magari ha un’amputazione dell’avambraccio. In generale, l’organismo deve sempre avvertire dolore. È un argomento attuale, molto importante, perché oggi c’è un abuso di analgesici che crea grossi problemi. Per esempio, se ho un problema articolare e mi prendo un analgesico per continuare a correre, sto alzando la soglia del dolore ma continuo a sovraccaricare un’articolazione malata. Quando finisce l’effetto del farmaco mi ritrovo in condizioni peggiori. Il dolore è importante anche nella fase di recupero perché ti dice dove fermarti. Esiste un dolore fisiologico che può prevenire la lesione e un dolore che subentra dopo la lesione, che serve a proteggere la parte danneggiata. Se per esempio ho una ferita cutanea e non la proteggo, se continuo a toccarla o urtarla, la guarigione ritarda. Prendere un analgesico in questo caso può ritardare la guarigione, perché toglie il campanello d’allarme”.
Pensando agli sportivi, vengono in mente ciclisti e motociclisti che magari dopo una caduta tendono comunque a rialzarsi velocemente e a spostarsi dalla situazione di pericolo, trovandosi magari in strada o in pista…
“Esattamente, quella è proprio analgesia da stress. Infatti si alzano e cercano di salire subito sulla bici o sulla moto , poi avvertono il dolore e crollano a terra. L’ho visto anch’io, a volte succede.
Recentemente, a proposito di dolore, si è parlato tanto anche dell’argento conquistato da Paltrinieri con un dito rotto. Anche quella è analgesia da stress?
“No, in questo caso non si tratta di analgesia da stress vera e propria, che dura solo pochi secondi. Nel caso di Paltrinieri tratta di un meccanismo diverso, legato all’impegno emotivo e mentale in un’attività sportiva importante. Questo ti permette di tenere alta la soglia del dolore. Nei bambini, per esempio, si usa la distrazione per ridurre la percezione del dolore. Se sei impegnato a fare un’altra cosa, senti meno dolore. In quei casi lì si tratta di un fenomeno del genere. L’impegno sportivo, in particolare il coinvolgimento emotivo di un’Olimpiade o di un Mondiale, alza la soglia del dolore, ma non è lo stesso meccanismo dell’analgesia da stress, che è molto più rapido e preciso. In entrambi i casi parliamo di attenuazione del dolore, ma in quello di Paltrinieri il fenomeno è più prolungato nel tempo, perché il cervello è impegnato in altro”.