Allegri, il "corto muso" e quei numeri che raccontano tutta un'altra storia

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Su Sportweek il profilo del nuovo allenatore del Diavolo (dove ha già vinto uno scudetto), considerato il profeta di un gioco speculativo e difensivo. E lui si diverte a stuzzicare i suoi critici…

Fabrizio Salvio

Giornalista

26 luglio - 00:13 - MILANO

Nelle sue 804 partite da allenatore, tra campionato e coppe varie Massimiliano Allegri ha raccolto 435 vittorie. Di queste, 114 sono arrivate col punteggio di uno a zero, il cosiddetto minimo scarto per conquistare i 3 punti: poco più del 26 per cento del totale. Forse è solo una curiosità senza valore, forse sono invece numeri che qualcosa vorranno pur dire, ora che il Conte Max torna a sedere su una panchina - quella del Milan, dove ha già vinto uno scudetto nel 2011 - e contestualmente ripartono i tormentoni sul suo calcio old style. Stando ai numeri suddetti, sarebbe il caso di mollare un po’ con la storiella del "corto muso", peraltro cavata dal cilindro dallo stesso Max nel 2019, dopo una sconfitta della sua Juve con la Spal che aveva ritardato la festa scudetto.

Allegri fa dell’ironia (sarcasmo), della sottile e intelligente provocazione, un’arma di distrazione di massa. È di quelli che hanno capito tutto: del calcio e della vita. Ormai ci gioca, su quel termine mutuato dall’ippica (sua grande passione), utilizzato per spiegare la vittoria di un cavallo sull’altro per una incollatura - la parte dell’animale che comprende la testa e il collo - dunque per un distacco infinitesimale o poco più. Applicata al calcio, questa espressione è diventata l’etichetta che i critici gli hanno appiccicato per giustificarne la presunta tendenza, lui che da calciatore è stato trequartista e poi mezzala offensiva, a un gioco votato più alla prudenza che al rischio. Allegri maestro nell’arte di accontentarsi, più ancora che in quella di arrangiarsi, insomma. Ma se è vero che è sempre una questione di punti di vista, sarebbe ora di darci un taglio, appunto, con ’sta storia di Allegri difensivista, catenacciaro (a tal proposito, così ha replicato alla domanda su come giocherà il suo Milan: “Se non rispondo, dite che sono catenacciaro; invece saremo offensivi…”), dunque fedele a un’idea antiquata, sorpassata, stantia e offensivamente asfittica, per non dire stitica: baricentro basso, difesa compatta e poi davanti un golletto prima o poi viene fuori. Allegri non è così. Almeno, non sempre lo è stato.

 Massimiliano Allegri Head coach of AC Milan gestures during an AC Milan Training Session at Bishan Stadium on July 21, 2025 in Singapore. (Photo by Giuseppe Cottini/AC Milan via Getty Images)

vincere o convincere?

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Certo, il tecnico di Sassuolo e Cagliari (per tacere di Aglianese, Grosseto e Spal…) non era propriamente al volante di fuoriserie, dunque ci sta che ai suoi ripetesse il vecchio adagio del ‘primo non prenderle’. Fatto sta che, da quell’1-2 in casa della Spal, il Nostro ha vinto 1-0 in 27 occasioni su 61 partite: la percentuale sale a più del 44%, a dimostrazione che, forse, quella battuta sul ‘corto muso’ - diretta in verità più che altro a illustrare la filosofia allegriana: l’importante è vincere il campionato, e chissenefrega se per un punto solo - ha effettivamente inciso sul suo modo di fare calcio, almeno da un certo punto della carriera in poi. E, se è vero che è quasi sempre il ricordo più fresco che si ha di una persona a orientare l’opinione su di essa, ecco che Allegri è diventato, obtorto collo, il simbolo di un calcio che (a parole) non piace più a nessuno. Tutti, insomma, gli rinfacciano gli ultimi tre anni alla Juve, invero forieri di delusioni più che di soddisfazioni, e pochi scavano nella memoria alla ricerca dei larghi sprazzi di ‘bel giuoco’ (per dirla alla Berlusconi, che, su consiglio di Galliani, lo portò al Milan) messi in mostra in rossonero prima e in bianconero poi.

 Head coach AC Milan Massimiliano Allegri and Rafael Leao of AC Milan smile during AC Milan training session at Milanello sports center on July 15, 2025 in Cairate, Italy. (Photo by Claudio Villa/AC Milan via Getty Images)

giudizi e pregiudizi

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È stato scritto che Allegri ha il pregio - o difetto: anche qui, dipende dai punti di vista - di credersi sempre un po’ più furbo degli altri, e, dunque, nei suoi ‘non detti’ che si alternano a punzecchiature beffarde quando non, al contrario, a veementi intemerate televisive contro i suoi critici occasionali (Sacchi) o di lungo corso (Adani), c’è tanto dell’indole tipicamente livornese, divertita e beffarda. Non gli pesa, anzi, essere incasellato nella lista dei ‘risultatisti’ contrapposta a quella dei ‘giochisti’ o presunti tali. Fedele al suo pragmatismo, Allegri considera certi discorsi sulla qualità del gioco un puro esercizio di stile, fumoso se non addirittura superfluo: “Se volete divertirvi, andate al circo”, ha detto nei momenti in cui certi rilievi più lo hanno indispettito. Eppure, tornando ai numeri, all’esordio sulla panchina di una grande, al Milan appunto, vince lo scudetto con 65 gol segnati, secondo attacco del campionato dietro quello dell’Inter (69 reti). D’altra parte ne subisce solo 24, a riprova - come da lui stesso ribadito ancora all’inizio della sua seconda avventura in rossonero - del fatto che “in Italia vince chi prende meno gol. Negli ultimi anni soltanto Sarri, alla Juve, ha invertito la tendenza”. Detto ciò, il (pre)giudizio su un Allegri portatore (in)sano di un calcio speculativo, difensivo, dunque poco appassionante e coinvolgente, sembra francamente ingeneroso; frutto, si diceva, dell’ultimo triennio bianconero, avaro di soddisfazioni e di gioco, conseguenza di una squadra progressivamente svuotata di talento, che lo ha costretto a fare di necessità virtù (e così potrebbe spiegarsi, almeno in parte, quel 44% di 1-0) e di una crisi societaria per contenere i danni della quale Allegri ha dovuto fare da parafulmine, per tenere i giocatori al riparo dalle correnti che soffiavano da ogni parte. Ma la prima Juve di Allegri aveva dato spettacolo anche in Europa, al netto delle due finali di Champions perse nel 2017 e 2019. Sull’altro piatto della bilancia ci sono però i 5 scudetti e le 4 Coppe Italia di fila, più 2 Supercoppe italiane. Certo, è la Juve di Buffon-Barzagli-Bonucci-Chiellini in difesa, di Pjanic in mezzo al campo, di Tévez (anche se una sola stagione), Dybala, Higuain e Mandzukic davanti.

 Head coach AC Milan Massimiliano Allegri reacts during AC Milan training session at Milanello sports center on July 11, 2025 in Cairate, Italy. (Photo by Claudio Villa/AC Milan via Getty Images)

il calcio è semplice

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Ma è lo stesso Allegri a sostenere che i calciatori contino più del gioco, in barba ai colleghi (la maggior parte) che adattano invece gli interpreti allo spartito. Contrario a certi dogmi Max ritiene invece “che non vincono gli schemi, ma i gesti tecnici dei calciatori. Il calcio è semplice: organizzazione difensiva e tecnica individuale”. A Sportweek, giugno 2009, dopo la splendida stagione al timone del Cagliari (salvo già alla fine del girone d’andata), al suo esordio da tecnico in Serie A, arrivò a dire: “Da uno come Mourinho mi dividono le idee sul calcio: al centro di tutto io metto i giocatori, non l’allenatore. Mi viene il mal di pancia a sentir filosofeggiare solo di moduli e schemi”. Parole pronunciate, peraltro, dopo aver messo in mostra un gioco offensivo, brillante, palla a terra, che gli sarebbe valso la Panchina d’oro di miglior allenatore del campionato. Parole che gli costano però l’accusa di una manovra offensiva povera di idee, a vantaggio delle iniziative individuali, in generale di una (eccessiva) libertà lasciata ai giocatori. Del resto, quando davanti hai talenti tutto inventiva e dribbling come Ibra e Robinho nel suo primo Milan (a riprova del suo pragmatismo, a gennaio sostituì il declinante Ronaldinho con il mastino Van Bommel, e vinse lo scudetto) o Dybala e Tevez alla Juve, non sembra proprio una cattiva idea allentargli le briglie. È lo stesso Allegri a spiegarlo ancora più chiaramente: “Nel calcio esistono le categorie. Ci sono i giocatori che vincono le Champions, quelli che vincono i campionati, e quelli che non vincono niente”. Alla prima categoria appartiene certamente Modric, stella del suo nuovo Milan, a proposito della qualità dei giocatori che conta più degli schemi (Max dixit). Resta da vedere se la sua è una provocazione o reale convinzione, considerato che i colleghi passati alla storia (Sacchi, Guardiola... per citare gli ultimi) sono quelli che hanno tracciato vie nuove alla vittoria.

galeone

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Fatto sta, che a SW Allegri disse: “Il mio punto di riferimento rimane Galeone. Era uno che ne capiva senza darsi tante arie. Gli hanno cucito addosso un vestito e quello è stato costretto a portarsi appresso sempre. Lo consideravano naïf, ma era tale soltanto per gli ignoranti. La sua colpa è stata di non vantarsi di aver inventato il calcio. Non era uno di quelli che perdeva il sonno pensando alle diagonali”. Un anno dopo, sempre a Sportweek, ma stavolta da tecnico del Milan: “Non ho mai visto un allenatore fare gol dalla panchina. Quello più bravo è quello che fa meno danni”. E ancora: “Il mio modello tattico è il Barcellona. Loro giocano bene perché giocano semplice, e la semplicità è la cosa più difficile da ottenere. Hanno mandato a memoria i concetti base, il resto è leggerezza e fantasia. Si divertono: lo vedi da come muovono se stessi e la palla”. Era il Barça di Guardiola, guarda un po’. E allora, Max, come la mettiamo? Risponderebbe forse con le stesse parole di allora (“Da buon livornese rido, scherzo e ironizzo, su me stesso e sugli altri”), condendo il tutto con quel sorriso vagamente sfottitorio di chi prende le cose come andrebbero fatto: non troppo sul serio. E fa nulla se diventi, scusate il termine, divisivo. Anzi, per uno come lui, il bello sta proprio in questo.

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